Un'altra vittima di lavoro. Questa volta è successo in Sicilia, ad Agrigento. Ha prima cosparso l'automobile di benzina e poi dopo essersi chiuso dentro ha appiccato il fuoco. Così un ex benzinaio, attualmente disoccupato e in difficoltà per problemi economici, si è tolto la vita. Una tragedia simile è accaduta poche settimane al Nord, a Torino, quando un operaio ha messo fine alla sua esistenza per la paura di perdere il proprio posto di lavoro. Incertezza, paura, depressione, morte. Non è, questa, la filiera della vita che un cittadino normale deve seguire in un Paese civile. Eppure è l'amara verità della quotidianità cui siamo ormai abituati. Assuefatti. Una quotidianità triste e grave che fa impallidire di colpo le battute e le smemoratezze dei leader politici che si battono per il governo del Paese. Oggi dovrebbero provare un pò d'imbarazzo coloro che, di fronte alla negazione di un'esistenza libera e dignitosa, suggeriscono di impalmare un rampollo. Ma anche coloro che, per smania di nuovismo, per apparire più "competitivi", dimenticano la dura realtà dei rapporti economico-sociali. Che, sotto il belletto dell'apparenza, non sono mai cambiati. O meglio, qualcosa sta cambiando: fino a ieri venivano bruciati solo i posti di lavoro. Oggi, ahimè, anche coloro che li hanno occupati fino a un attimo prima.
domenica 30 marzo 2008
giovedì 27 marzo 2008
Colpevole di ghetto
Per chi non conosce la sua storia, la notizia sarà passata sotto silenzio. E però la decisione del tribunale d'appello federale di Philadelphia di annullare la condanna a morte di Mumia Abu Jamal è uno di quei momenti che segnano la vittoria della civiltà sul sopruso. Beninteso, una piccola vittoria. Non risolutiva e per ora incerta. Mumia, negli anni, è diventato il simbolo della campagna internazionale contro la pena capitale. Da quando l'ex attivista delle Pantere Nere è stato condannato (molti, tra cui Amnesty International, sostengono ingiustamente perchè vittima di un processo ingiusto e razzista) per l'uccisione di un poliziotto nel 1982. Da allora Mumia vive nel braccio della morte. La storia di questo giornalista ricorda da vicino quella di Sacco e Vanzetti, i due emigranti italiani accusati ingiustamente di omicidio negli anni Venti del secolo scorso sull'onda del pregiudizio razzista. Per Nic e Bart ci fu la sedia elettrica. Se tutto andrà bene, invece, la pena di Abu-Jamal sarà commutata in ergastolo. Per coloro che si sono mobilitati nel corso degli anni a sostegno della sua causa, però, questo non basta: ci vuole un nuovo processo. Mumia deve tornerà libero. Perchè in un'America che forse a novembre eleggerà il suo primo presidente nero della Storia è intollerabile essere condannati per essere colpevoli di ghetto.
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