Benazir Bhutto è stata ammazzata. Un kamikaze ha messo fine alla battaglia da tempo intrapresa dall'ex premier pakistano contro il fondamentalismo islamico e contro il regime militare di Musharraf, per la rinascita democratica del Paese. E proprio a queste due forze bisogna fare riferimento per capire chi siano i mandanti dell'attentato. Il rientro della Bhutto nell'agone politico pakistano, infatti, ha rappresentato un elemento destabilizzante nella lotta per il potere che si combatte, soprattutto dopo l'11 settembre, a Karachi, a Islamabad e in tutto il Pakistan, fra i seguaci di Bin Laden e il governo del Generale. Lotta per il potere, legata ovviamente agli enormi interessi geopolitici dell'area. Insomma, la presenza della Bhutto scardinava un gioco perverso e paradossale sostenuto, per opposti motivi e interessi, dalle due forze che governano il Pakistan. Così, Benazir era pericolosa per gli integralisti, che non hanno mai dimenticato la sfida condotta dall'allora premier Bhutto contro di loro dagli anni 90 fino ai ieri. Ed era pericolosa pure per Musharraf (che con la Bhutto aveva recentemente siglato un patto più o meno formale attraverso il quale sostanzialmente i due si spartivano la guida politica dello Stato) , il quale non avrà più, almeno in questa fase, un concorrente vero e credibile nella gestione del potere. E' una situazione, quella venuta a crearsi con l'assassinio della Bhutto, nella quale, dunque, è richiesto agli Usa di abbandonare la strada dell'ambiguità politica nel sostegno al Generale e all'Europa di tentare un'iniziativa politica autonoma. Altrimenti, come in una spirale impazzita, alle bombe risponderà la dittatura. E alla dittatura replicheranno i kamikaze.
giovedì 27 dicembre 2007
domenica 16 dicembre 2007
Il coraggio di Don Abbondio
Evidentemente il colpo lo abbiamo accusato se ancora stiamo a parlare dell'articolo del New York Times, che dipinge l'Italia come un Paese triste e attanagliato dalla paura. Solo il presidente Napolitano ha commentato con i toni giusti le critiche, invitando gli americani a osservare con più oggettività la complessa realtà italiana. Insomma, secondo il presidente bisogna guardare certo alle ombre ma pure alle luci che si accendono nel cielo d'Italia. Il che è sicuramente vero. Però ci ha pensato la stragrande maggioranza della nostra classe politica - che, come era prevedibile, subito dopo l'uscita dell'articolo, si è messa in moto per minimizzare, smentire, svicolare - a confermarci ancora una volta che non possiamo che essere depressi politicamente. Eppure, vogliamo stare a ciò che, giustamente, sostiene Napolitano e preferiamo consolarci con le tante eccellenze di cui andare orgogliosi. Che ci dimostrano che le cose stanno diversamente da come pensano i tanti don Abbondio in Italia. Il coraggio nell'affrontare se stessi e il futuro, infatti, uno se lo può dare eccome. Anche se non ce l'ha.
martedì 11 dicembre 2007
La rabbia e l'orgoglio
Si è fermata una città per onorare le morti bianche. Torino, per un giorno, con le sue trentamila persone in corteo, è tornata ad essere la fiera e orgogliosa città operaia dei tempi che furono. Dicevano che l'antica capitale del Regno fosse cambiata in meglio, che si fosse risollevata dalla crisi della trasformazione post-industrale. Sostenevano che fosse in atto un nuovo Risorgimento. E, del resto, dalla ripresa della Fiat di Marchionne alle Olimpiadi invernali del 2006, gli esempi di una rinascita erano decisamente tangibili. Ora però ci accorgiamo, forse con un pò di stupore, che sotto i troppo facili entusiasmi covava una realtà ben diversa. E gli operai, che la nostra società dell'immagine si ostina a dichiarare scomparsi, tornano alla ribalta. Una ribalta fatta di lutti e dolori, di sfruttamento e morte. Di ferite che non vengono mai rimarginate. Qualcuno dirà che è il passato che ritorna. Che tutto, dalla centralità delle fabbriche nella vita del Paese alla questione operaia, è roba vecchia, trita e ritrita. Ma non è così. E per capirlo basterebbe scavare di più nella rabbia e nell'orgoglio di quei lavoratori che piangono la morte dei loro compagni.
domenica 9 dicembre 2007
La strage degli innocenti
Ormai è molto più di una tragedia che si ripete. Si tratta di una strage. Silenziosa e assurda, come assurdo è morire di lavoro nell'anno di grazia 2007. Gli ultimi casi eclatanti sono le morti bianche di 4 operai alle acciaierie ThyssenKrupp. Ma nella sconfinata provincia italiana e nelle stesse ore, altri lavoratori perdevano la vita sui propri luoghi di lavoro. Spesso, molto spesso, sui cantieri disseminati al sud come al nord. Il premier Prodi ha fatto dichiarazioni importantissime e chiare. E il governo ha deciso di intervenire con una nuova legge, che prevederebbe l'arresto dell'imprenditore che vìola in modo grave le norme sulla sicurezza. Insomma, finalmente ci si dà una mossa, per quanto tardiva. La riflessione che, però, si impone è la seguente: è molto difficile aumentare i controlli e le ispezioni sui luoghi di lavoro e nelle aziende? Evidentemente, sì. Il motivo, invece, sfugge al più semplice buon senso. Si tratta di incuria? Distrazione? O impotenza? Oppure, ancora, incapacità? E se invece la strage degli innocenti dipendesse dalla dinamica economica, che induce a situazioni al limite del rispetto della legge, del lavoro e del lavoratore?
domenica 2 dicembre 2007
Piante fragili su terreni aridi
Bene ha fatto il presidente del Consiglio Prodi a dire: "La politica spettacolo, accorcia tutto, rende tutto più misero". Al contrario, secondo il Professore "dobbiamo pensare a lungo termine, dobbiamo piantare piante, non erba". Era ora che dal pulpito di una delle cariche più importanti del nostro Paese si sentissero parole di buon senso, lo stesso auspicato dalla cosiddetta società civile disillusa da ideologie, partiti e governi. Che si stia finalmente imboccando la strada della sobrietà e della serietà, qualità che dovrebbero distinguere il lavoro istituzionale? Celentano qualche giorno fa ha per lo meno messo sul tavolo il dubbio. Qualcuno dirà: il "Molleggiato" si sa, è "il re degli ignoranti" per sua stessa definizione. E però, il tarlo del dubbio rimane: la politica smetterà, per dirla con il premier, di piantare erbaccia cattiva e davvero si dedicherà a far crescere belle e rigogliose le piante dello sviluppo e del progresso? Vorremmo essere ottimisti, ma la buona volontà del contadino non basta se il terreno su cui deve operare è inaridito, lasciato all'incuria della incapacità o solo della colpevole distrazione. E fra le due è difficile dire cosa sia peggio.
Iscriviti a:
Post (Atom)