Si è fermata una città per onorare le morti bianche. Torino, per un giorno, con le sue trentamila persone in corteo, è tornata ad essere la fiera e orgogliosa città operaia dei tempi che furono. Dicevano che l'antica capitale del Regno fosse cambiata in meglio, che si fosse risollevata dalla crisi della trasformazione post-industrale. Sostenevano che fosse in atto un nuovo Risorgimento. E, del resto, dalla ripresa della Fiat di Marchionne alle Olimpiadi invernali del 2006, gli esempi di una rinascita erano decisamente tangibili. Ora però ci accorgiamo, forse con un pò di stupore, che sotto i troppo facili entusiasmi covava una realtà ben diversa. E gli operai, che la nostra società dell'immagine si ostina a dichiarare scomparsi, tornano alla ribalta. Una ribalta fatta di lutti e dolori, di sfruttamento e morte. Di ferite che non vengono mai rimarginate. Qualcuno dirà che è il passato che ritorna. Che tutto, dalla centralità delle fabbriche nella vita del Paese alla questione operaia, è roba vecchia, trita e ritrita. Ma non è così. E per capirlo basterebbe scavare di più nella rabbia e nell'orgoglio di quei lavoratori che piangono la morte dei loro compagni.
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