A Verona non più di venti giorni fa è toccato a Nicola. Non più di tre giorni fa sono stati due ragazzi, Alessio e Flaminia, a restare esanimi sull'asfalto di una trafficata strada di Roma dopo essere stati travolti da uno cui era stata anche tolta la patente. Tra il pomeriggio di sabato e la giornata di domenica, sono stati, invece, alcuni extracomunitari a Roma e a Torino a subire violenza: sabato pomeriggio il raid fascista nella Capitale ai danni di alcuni negozi gestiti da stranieri. Mentre nel capoluogo piemontese, un marocchino recluso in un Cpt è morto, pare senza essere soccorso. Infine, a Cassino, un sabato come tanti è finito in tragedia, con un giovane massacrato di botte e un buttafuori arrestato. E queste sono solo alcune delle vicende che maggiormente hanno riempito le cronache di tg e giornali. Sufficienti però a fotografare la scia di intolleranza, di prevaricazione, di sangue che traccia i confini di un Paese sempre più senza freni. Senza limiti. Un Paese dove il senso di impunità dà libero sfogo alla leggerezza nei comportamenti. Dove l'odio diventa un gioco come un altro per ingannare l'attesa del mattino. Dove l'altro appare come un fastidioso intralcio ad una patologica espressione di sè. Dove la vita diventa soltanto il noioso incedere di giorni persi nell'inerzia del proprio tempo.
lunedì 26 maggio 2008
venerdì 9 maggio 2008
I cento passi di Peppino (e di tutti noi)
Sarà un caso, ma il trentesimo anniversario dell'omicidio di Peppino Impastato cade a pochi giorni da un fatto di cronaca nera con risvolti politici. Stiamo parlando del massacro di Nicola a Verona da parte di cinque ragazzi appartenenti, in un modo o nell'altro, all'area del neofascismo. Anche in quel maggio del 1978, così come accade in queste ore per i fatti di Verona, si cercò di confinare nella cronaca la morte di Peppino. In quei giorni e per anni dissero che il giovane di Democrazia Proletaria, l'animatore di una piccola radio libera a Cinisi, era stato dilaniato da una bomba da lui stesso innescata sui binari della ferrovia. Insomma, un terrorista un pò maldestro. Alla meglio, un suicida. Poi, parecchi anni dopo, le indagini della magistratura (ma non gli amici e i compagni di Peppino che immediatamente hanno gridato ai quattro venti nomi e movente dell'omicidio), rese più efficaci dalla confessione di alcuni pentiti di mafia, scoprirono la verità: quella di Peppino è stata una morte di mafia. Ordinata addirittura dal "capo dei capi" della Cupola di allora, don Tano Badalamenti, il boss di Cinisi ribattezzato ironicamente da Peppino "Tano Seduto". Così la storia di Peppino, grazie anche al bellissimo film di Marco Tullio Giordana, valicò gli angusti confini della Sicilia. E ora è memoria. Esempio di quella "meglio gioventù" che costituisce la speranza di un'Italia diversa. Ragazze e ragazzi di questo Paese che se non riescono a percorrere per intero i "cento passi" che separano la giustizia dall'omertà, la democrazia dalla violenza, la civiltà dall'ipocrisia, è perchè vengono fermati, ieri come oggi, dalla paura di cambiare.
lunedì 14 aprile 2008
Italia: anno zero
Mentre il risultato elettorale pare ormai acquisito, con la vittoria di Berlusconi e soprattutto della Lega di Bossi, una riflessione si impone. L'Italia è a una svolta. Per la prima volta una forza politica (elettorale) che si richiama esplicitamente alla sinistra non sarà in Parlamento. Ad altri, stabilire colpe e responsabilità. Resta la convinzione che, forse, sia arrivato davvero il momento di cambiare e rendersi conto di ciò che avviene, davvero, all'interno della nostra società. E non finisce qui. Scompare, col risultato al lumicino dei centristi dell'Udc, la pia illusione che esista nel nostro Paese una cosiddetta destra moderata o istituzionale. Semplicemente, non esiste. Al contrario, esiste e, purtroppo, vince (non solo elettoralmente) una destra sguaiata, populista e a tratti razzista. Non è riuscita a Walter Veltroni la sfida del cambiamento immediato. Non è riuscito, l'ex sindaco di Roma, a sfondare nel Paese con la sua idea di una forza riformista. Indubbiamente, prospettive per il futuro ci sono. Del resto, il Partito democratico può ripartire da un robusto 33-34 per cento che non sono proprio noccioline. Però, per il momento lasciateci dire, come nei famosi film di Troisi e Rossellini, che non ci resta che piangere di fronte a un'Italia all'anno zero.
mercoledì 2 aprile 2008
Chiudere i Cpt, aprire la civiltà
"Cibo scadente", "gabbie e sbarre opprimenti", "mancanza d'igiene", "carenza d'assistenza medica e legale". Non si sta parlando di un lager nazista. E questa descrizione non si trova in un libro di Storia. E nemmeno in un volantino di qualche formazione dell'ultra-sinistra. A parlare così è un documento redatto dall'Europarlamento, che fotografa con queste parole la triste realtà dei Cpt - i Centri di permanenza temporanea -, ovvero i luoghi dove gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste vengono trattenuti per verificare la loro identità e la loro provenienza. Dunque, l'Europa denuncia la condizione non dignitosa, per non dire inumana, cui sono costretti coloro che fuggono da guerre, carestie e malattie. Ma anche coloro che, compiendo il proprio lavoro di tutore dell'ordine o di operatore socio-sanitario, si trovano nell'imbarazzo di operare in una situazione degradante e pseudo-legale. Lungo è stato il dibattito sulla possibilità di abolire o, come è stato affermato, di prevedere il "superamento" di questi centri. Tante sono state le manifestazioni, politiche e non, per sostenere di fronte all'opinione pubblica la necessità di prendere coscienza di questa realtà. E' ora che dalle parole si passi ai fatti. Perchè la civiltà non è un brillante modo di dire. Ma un umile modo di fare.
domenica 30 marzo 2008
Ardere di lavoro
Un'altra vittima di lavoro. Questa volta è successo in Sicilia, ad Agrigento. Ha prima cosparso l'automobile di benzina e poi dopo essersi chiuso dentro ha appiccato il fuoco. Così un ex benzinaio, attualmente disoccupato e in difficoltà per problemi economici, si è tolto la vita. Una tragedia simile è accaduta poche settimane al Nord, a Torino, quando un operaio ha messo fine alla sua esistenza per la paura di perdere il proprio posto di lavoro. Incertezza, paura, depressione, morte. Non è, questa, la filiera della vita che un cittadino normale deve seguire in un Paese civile. Eppure è l'amara verità della quotidianità cui siamo ormai abituati. Assuefatti. Una quotidianità triste e grave che fa impallidire di colpo le battute e le smemoratezze dei leader politici che si battono per il governo del Paese. Oggi dovrebbero provare un pò d'imbarazzo coloro che, di fronte alla negazione di un'esistenza libera e dignitosa, suggeriscono di impalmare un rampollo. Ma anche coloro che, per smania di nuovismo, per apparire più "competitivi", dimenticano la dura realtà dei rapporti economico-sociali. Che, sotto il belletto dell'apparenza, non sono mai cambiati. O meglio, qualcosa sta cambiando: fino a ieri venivano bruciati solo i posti di lavoro. Oggi, ahimè, anche coloro che li hanno occupati fino a un attimo prima.
giovedì 27 marzo 2008
Colpevole di ghetto
Per chi non conosce la sua storia, la notizia sarà passata sotto silenzio. E però la decisione del tribunale d'appello federale di Philadelphia di annullare la condanna a morte di Mumia Abu Jamal è uno di quei momenti che segnano la vittoria della civiltà sul sopruso. Beninteso, una piccola vittoria. Non risolutiva e per ora incerta. Mumia, negli anni, è diventato il simbolo della campagna internazionale contro la pena capitale. Da quando l'ex attivista delle Pantere Nere è stato condannato (molti, tra cui Amnesty International, sostengono ingiustamente perchè vittima di un processo ingiusto e razzista) per l'uccisione di un poliziotto nel 1982. Da allora Mumia vive nel braccio della morte. La storia di questo giornalista ricorda da vicino quella di Sacco e Vanzetti, i due emigranti italiani accusati ingiustamente di omicidio negli anni Venti del secolo scorso sull'onda del pregiudizio razzista. Per Nic e Bart ci fu la sedia elettrica. Se tutto andrà bene, invece, la pena di Abu-Jamal sarà commutata in ergastolo. Per coloro che si sono mobilitati nel corso degli anni a sostegno della sua causa, però, questo non basta: ci vuole un nuovo processo. Mumia deve tornerà libero. Perchè in un'America che forse a novembre eleggerà il suo primo presidente nero della Storia è intollerabile essere condannati per essere colpevoli di ghetto.
martedì 19 febbraio 2008
La Storia lo assolverà
Non sono stati i missili puntati sull'isola, nè le invasioni militari. Non sono stati gli Usa, nè la potentissima lobby cubano-americana. Non è stata la Guerra Fredda e nemmeno gli attentati. Nè tanto meno la crisi economica. Quanto all'embargo, continua a rimanere una piaga soprattutto per il popolo cubano. No, a costringere Fidel Castro a lasciare il potere è stata la malattia contro cui combatte da quasi due anni. Insomma, è stata l'età, il normale incedere degli anni, a rendere possibile il passaggio del testimone per il capo della rivoluzione cubana. Di Fidel, in cinquant'anni si è detto, scritto, fatto di tutto. Nel bene e nel male. Tanti sono stati, nel corso del tempo, gli errori politici. Troppe le derive autocratiche. Ma altrettanto numerose e significative sono state le conquiste sociali - dalla sanità alla scolarizzazione - ottenute dal regime politico di questo Stato in miniatura, distante solo 90 Km dal gigante americano (con tutte le influenze e le pressioni del caso). Gli storici diranno se il senso di dignità e di orgoglio che Fidel ha ridato al suo popolo possa bastare a lenire contraddizioni, sofferenze e ingiustizie. La Storia, insomma, si farà carico di giudicare colpe e meriti dell'uomo politico. A noi piace pensarlo ancora lì, nella Sierra Maestra, con un pugno di straccioni a sognare libertà. Piace pensarlo lì, nell'aula di un processo farsa, a dichiarare impettito che "la Storia mi assolverà". E ci piacerebbe credere che, alla fine, andrà proprio così.
giovedì 14 febbraio 2008
Il problema è "diverso"
Quattro ragazzi universitari, prossimi alla laurea, cercano una casa in affitto. Si rivolgono a un'agenzia, poi a una seconda, a una terza e così via. Alla fine consulteranno dieci agenzie. Ovviamente senza contare i privati. Ma la risposta, comunque, non cambia: no, per loro, niente casa. Poco male, si dirà, è risaputa la difficoltà di trovare un'abitazione nelle nostre città. Vero. Però qui il problema è diverso. Nel senso, proprio "diverso". Perchè Mimmo, Mary, Totò e Graziella sono costretti in carrozzina, si muovono e si esprimono con difficoltà e, in qualche caso, in quelle agenzie non sono proprio riusciti ad entrare. Tenuti fuori forse per imbarazzo o per vergogna dalle persone nelle quali si sono imbattute. L'ennesima storia di pregiudizi e ipocrisie è diventato un documentario di quindici minuti che si può vedere su YouTube (al link: www. youtube. com/watch? v=Kw5xTOGLA8M). Bisogna guardarlo, questo filmato. Senza aggiungere altro. Infatti, non ci vuole molto per capire che essere diversamente abile è purtroppo una condizione, ma essere gratuitamente imbecille è sempre una scelta.
venerdì 8 febbraio 2008
C'era una volta la mafia
Tra gli Stati Uniti e Palermo catturati 90 boss di Cosa Nostra. A Napoli preso uno dei più pericolosi latitanti della camorra. E in Calabria scoperti i covi dei "mammasantissima" della 'ndrangheta. Mai come in questo momento risuonano con la forza del coraggio e dell'umiltà le parole di Giovanni Falcone: "la mafia è un fatto umano e, come i fatti umani, ha un inizio e una fine". E' ancora la magistratura, quella magistratura offesa, calpestata e denigrata, a dare un altro colpo mortale alla malavita organizzata, ovunque essa si annidi e prosperi. Ha ancora il volto di un giudice la possibilità che la legalità torni ad essere principio rispettato e condiviso nel nostro Paese. La magistratura, gli uomini e le donne che lavorano e rischiano in terre proibite, devono, però, avere il sostegno della società. Dello Stato. Perchè i lavoratori in toga nera fanno quel che si può e quel che a loro compete. C'è un confine, oltre il quale ognuno deve prendere su di sè la responsabilità di decidere. E' un compito che spetta innanzitutto alla politica, a quella classe politica a volte connivente, spesso distratta. L'Italia si avvia a una campagna elettorale molto confusa. Uno dei protagonisti della partita, sull'onda delle suggestioni americane, ha coniato lo slogan "Sì può fare". Ecco, a noi piacerebbe che tutti, da destra a sinistra, un giorno possano dire la stessa cosa anche a proposito della fine della criminalità organizzata. Perchè arrivi presto il giorno in cui, come ha detto una volta il superprocuratore Piero Grasso, sarà possibile prendere per mano i nostri figli e raccontar loro una storia che inizia così: "C'era una volta la mafia...".
martedì 5 febbraio 2008
Il racconto di Obama
Fra qualche ora si saprà se quello di Obama resterà solo un sogno. Oppure sarà l'inizio di una nuova storia. Il Supermartedì (così chiamano negli Usa il giorno in cui vanno al voto i cittadini di oltre 20 Stati) decreterà i candidati di entrambi i partiti alla Casa Bianca. Ma mai come in questa occasione, l'America democratica è chiamata a un compito immane e supplementare, quello cioè di chiudere definitivamente la stagione di Bush, le sue guerre, la sua petro-politica, la sua economia in recessione. Questa volta ha la possibilità concreta di farlo. Barack può farlo. La nuova America di cui parla il senatore dell'Illinois è l'America della speranza, della fiducia in se stessi, dell'orgoglio. Ma anche della solidarietà, ossia dello sforzo di una nazione di ritrovarsi intorno alle proprie radici, alla propria cultura e di ripartire da queste nella guida di quello che una volta definivano il mondo libero. Un'America aperta, positiva, vitale, che non abbia paura delle sfide del tempo e sia capace di esercitare la sua leadership grazie alla forza delle sue idee e non all'ostentazione del suo potere. Un'America autorevole, insomma, e non autoritaria. Un'America pulita e giovane. Che sappia mettere a frutto le sue enormi risorse per il futuro e che sappa cogliere del passato le esperienze migliori. Può l'America voltare pagina? Obama, dito a indicare l'orizzonte e occhi lucidi e sorridenti, ha detto: "Yes, we can". Noi ci crediamo. Speriamo sia così anche per i suoi concittadini.
giovedì 31 gennaio 2008
Signora Sanità, signorina ingiustizia
In questo Paese ormai la Sanità può tutto. Allevia le sofferenze dei cittadini ma spesso fa morire la gente. E' uno dei più importanti diritti delle persone ma da tempo costituisce una delle forme più utilizzate di esercizio del potere. La Sanità è un principio cardine di una società democratica, un diritto inalienabile, eppure rappresenta uno dei maggiori settori dove la logica della spartizione politica, il clientelismo e il malaffare attecchiscono con molta facilità. Sulla Sanità, oggi qui in Italia, si decide il futuro di una comunità, ma anche le sorti di un governo. Si dirà: chiacchiere, illazioni, supposizioni. Teorie. Poi, però, si smette di fare filosofia e si va a toccare con mano la condizione degli ospedali del nostro Paese. Lo hanno fatto i carabinieri del Nas e sentite cosa hanno scoperto. Ovviamente scoperto solo per chi finora non abbia mai avuto a che fare con una struttura pubblica in giro per l'Italia. Da un articolo del Corriere dela Sera: "Medicinali scaduti, cibi andati a male, reparti fatiscenti, impianti fuori norma: in Italia un ospedale su due non rispetta leggi e regolamenti. Ci sono le strutture con «lievi carenze», ma ci sono anche le «gravissime irregolarità» che hanno fatto scattare la chiusura di alcuni reparti oltre alla denuncia contro direttori sanitari e amministratori. Alla fine le persone segnalate sono state ben 778". Ecco perchè, da noi, la Sanità è come una vecchia signora corrotta nel cuore e nell'anima che gioca a fare la signorina giovane e bella. E che ormai è conosciuta da tutti col nome di Ingiustizia.
venerdì 25 gennaio 2008
Benvenuti in Italia
Solo in Italia si fa festa mentre tutto crolla. Solo nel Parlamento italiano gli urli, gli insulti, gli sputi (veri o presunti), le corna. Solo da noi si agitano dagli scranni di un 'Aula, che pure dovrebbe essere l'emblema dell'austerità e della ragione, manifesti e volantini di bassa propaganda. Oppure, peggio, si introducono bottiglie di champagne o si gozzoviglia con delle fette di mortadella. Solo in Italia accade che un governo, per quanto non confortato robustamente dai numeri (ma la regola della democrazia non è forse un voto in più dell'avversario?), cada a freddo: senza un motivazione circostanziata, senza un perchè facilmente riscontrabile dal cittadino comune. Solo nel nostro Paese, che pure dovrebbe far parte del cosiddetto e decantato Occidente, ogni volta una fisiologica crisi politica rischia di diventare una crisi di sistema. Solo da noi, qui in Italia, ancora nel 2008, per decidere chi e come deve dare la linea dal ponte di comando di Palazzo Chigi si devono attendere cinque giorni cinque. Solo nel nostro Paese tutti sanno quali sono i problemi e quali le soluzioni, ma si continua a discutere di altro. Solo da noi sempre le stesse facce a dire sempre le stesse cose. Solo qui è possibile accogliere uno straniero e, davanti a tutto questa volgarità, avere il coraggio e la leggerezza di dire: benvenuto in Italia.
domenica 20 gennaio 2008
I cannoli di Totò
Condannato per aver aiutato mafiosi, ma non Cosa Nostra? E lui brinda e offre cannoli a collaboratori e giornalisti nel suo ufficio di presidente della Regione. Questa la reazione di Totò Cuffaro, detto "vasavasa", alla sentenza del processo di Palermo che, appunto, gli ha inflitto - in primo grado - cinque anni di carcere per favoreggiamento semplice ma non mafioso. Una macchia comunque pesante per qualsiasi uomo delle istituzioni, ma non per il pittoresco Totò che, appena ascoltato dal giudice il dispositivo della sentenza, ha innanzitutto fatto sapere che resterà Governatore. E l'indomani, più rilassato e col viso tornato alla solita rotondità, ha invitato tutti a Palazzo D'Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana, per festeggiare a botte di paste di mandorla e tipici cannoli di ricotta. Come dire, nulla è successo e nulla succederà. Il blocco di potere che regge l'Isola, corroborato dal milione e passa di voti che ha preso Cuffaro l'ultima volta, è saldo come non mai. Il malgoverno, le clientele e soprattutto l'alone di ombre e di sospetti, che tuttora aleggia sul "capo dei capi" della politica siciliana, restano tutte lì. Oggi come ieri. E il banchetto "alla siciliana" (benchè smentito dal Governatore) è così solo l'ultimo triste spettacolo in cui pupi e pupari giocano a scambiarsi i ruoli, sperando che non venga mai il giorno del giudizio. Quello vero.
martedì 15 gennaio 2008
Il trono, l'altare e la cattedra
Ha ragione Mussi, quando dice che l'annullamento della visita del Papa alla Sapienza è un fatto grave. Il perche, ha osservato il ministro dell'Università , è semplice: contraddice lo spirito, la natura e la missione propri della realtà accademica. Dunque, le perplessità di molti professori dell'ateneo romano e le proteste degli studenti, seppure quest'ultime caratterizzate dalla goliardia, sembrano aver avuto la meglio. Dicono sia stata la vittoria della sopraffazione e della censura sulla libertà d'espressione e sul dialogo. La vittoria di una "certa cultura laicista" sul genuino concetto di laicità. In parte è vero, per il resto le frasi ad effetto fanno parte della strumentalizzazione politica. Tuttavia, se si prova a isolare la sostanza della questione - di per se complicata - ci si accorge che la radice dello scontro deriva forse dal profilo di questo papato, ben diverso rispetto a quello precedente. In fondo, la "certa cultura laicista" c'è sempre stata - minoritaria - nel nostro Paese. Il mutamento di stagione, al contrario, è avvenuto con l'elezione al soglio pontificio di Ratzinger e soprattutto con le sue ferme prese di posizioni su tanti temi caldi: dalla famiglia al ruolo del cattolicesimo, dall'aborto al confronto con le altre religioni. Prese di posizione che sono scivolate come l'olio nel dibattito politico perchè hanno incrociato una classe politica e un Paese debole e orfani di punti di riferimento forti. Da qui un gioco patologico che spinge a confondere il trono con l'altare. E l'altare con una cattedra.
domenica 13 gennaio 2008
L'Italia ai tempi della "monnezza"
Non accenna a placarsi la protesta contro il piano straordinario adottato dal governo per l'emergenza rifiuti in Campania. Dopo Napoli e la Sardegna, anche in Sicilia, in queste ore, si stanno mettendo in atto blocchi stradali ed altre manifestazioni simili. In nottata, un carico di 1.500 tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania e diretti ad Agrigento ha provocato la reazione di un centinaio di cittadini, che hanno occupato con le loro auto la strada vicina alla discarica. E tutto questo quando, qualche giorno fa, all'appello del premier Prodi (che ha chiesto un contributo a tutte le Regioni per risolvere la crisi) la maggior parte dei vertici delle istituzioni locali hanno risposto in modo alquanto freddo. Insomma, sempre di più la questione della "monnezza" sta diventando il termometro dello stato d'animo del Paese: una nazione sempre più divisa, concentrata sui propri particolarismi e indifferente alle sorti altrui. I media hanno battezzato questa "sindrome" con l'acronimo inglese "Nimby", ovvero "Not in my back yard" ("Non nel mio cortile"). Eppure l'Italia, che pure è passata per immani tragedie, non è mai stata fino in fondo un Paese "nimby". Dal Vajont al terremoto dell'Irpinia, dal sisma in Friuli alla strage di Bologna, gli italiani hanno saputo sempre esprimere solidarietà e condivisione. Ma soprattutto fiducia e capacità di immaginare e costruire il meglio, nonostante tutto. Viene in mente un passaggio del film "La meglio gioventù". Il giovane Nicola Carati si trova in Nord Europa alla ricerca di se stesso e della propria identità, quando una mattina accende la tv e scopre il dramma che sta vivendo Firenze, l'acqua che sembra inghiottire una città, la sua storia, la sua cultura, la sua bellezza. Nicola non ci pensa un attimo a raccogliere in sacca le poche cose del suo viaggio e a partire subito, perchè capisce che in quel momento è necessario essere lì. Per gli altri, certo, ma anche per se stessi. Come Nicola furono migliaia le persone, soprattutto giovani, che accorsero in una città deturpata e ferita nell'anima. Furono tantissimi i giovani e le giovani che ascoltarono quella laicissima ed esistenziale "chiamata" che porta il nome di speranza. Oggi di quell'afflato ideale e di quella eredità morale che forgiarono una intera generazione non resta che la rabbia e l'incomprensione di un popolo smarrito e senza orizzonte.
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