mercoledì 28 novembre 2007

Il fine della politica, la fine della guerra

Terminata la Conferenza internazionale di Annapolis per la pace in Medioriente, che ha visto la presenza importantissima di alcuni Paesi arabi fino a ieri considerati facenti parte dell'"asse del male" (come la Siria), il presidente Bush fa pressing sui leader palestinese e israeliano, rispettivamente Abu Mazen e Olmert, perchè si arrivi finalmente all'intesa che metta fine al conflitto. Obiettivo: arrivare alla creazione dello Stato palestinese nel 2008. Esattamente 60 anni dopo la nascita dello Stato d'Israele. E' un po' prerogativa dei presidenti americani, giunti alla fine del secondo mandato, cercare di porre fine alla "madre di tutte le guerre". L'ultima volta fu Clinton a mettere intorno a un tavolo Barak e Arafat e si sa come è andata a finire: con lo scoppio della seconda Intifada e i kamikaze da una parte, con gli omicidi "mirati" e le ruspe sulle case dei civili dall'altra. Ora, con Hamas che controlla la Striscia di Gaza, la situazione è altrettanto complessa. Questo significa che non dobbiamo illuderci. Anche perchè, diciamoci la verità, scarseggiano oggi gli uomini di buona volontà. Eppure bisogna continuare a crederci. John Lennon tanti anni fa invitava a dare alla pace una possibilità. Noi, più modestamente, saremmo già contenti se la politica, anzichè continuare a essere la guerra fatta con altri mezzi, diventasse davvero il mezzo per evitare qualsiasi guerra.

lunedì 26 novembre 2007

Essere uomini

E' morta, dopo una lunga malattia, la moglie dell'allenatore della Fiorentina, Cesare Prandelli. Il mister dei viola aveva abbandonato, tre anni fa, la Roma proprio per stare vicino alla sua amata Manuela, ricaduta nel male che l'aveva colpita nel 2000. Oggi è un giorno di lutto per il calcio. Il mondo del pallone, ma non solo, glielo deve. Non tanto perchè Cesare è una delle poche persone perbene che abitano quel mondo, quanto per il suo coraggio e la sua limpidezza morale. Dobbiamo ringraziarlo quest'uomo che ci ha dimostrato come sul campo e nella vita occorra avere sempre la forza di lottare e la capacità di continuare a credere e sperare, nonostante tutto. Ecco, l'esempio di mister Prandelli sta tutto nella consapevolezza di capire che le lusinghe del successo si fermano sull'uscio della dignità e del rispetto, innanzitutto per se stessi. E', questa, una qualità che non si mette sotto contratto, sia pure miliardario, perchè costituisce l'essenza stessa di quella cosa bella e dolorosa, difficile e appagante, che si chiama essere uomini.

domenica 25 novembre 2007

Un altro calcio è possibile

E' successo a Foggia, durante la partita fra la squadra locale e il Novara. La punizione assegnata dall'arbitro alla squadra piemontese non c'era. Proteste dei padroni di casa perchè il direttore di gara è caduto in errore. E allora che fanno i giocatori della squadra avversaria, evidentemente accortisi del pasticcio arbitrale? Sbagliano apposta la battuta. Questa cosa nella vita di tutti i giorni si chiama lealtà, nel mondo del pallone si chiama invece fair-play, ma il risultato non cambia. Ovviamente il Novara, che aveva una grande possibilità di portarsi in vantaggio, non fa goal (la partita, tra l'altro, finisce 0-0). Fa però qualcosa di più e di meglio di una rete. Strappa un applauso da parte del pubblico e dei giocatori foggiani. Ma soprattutto ci costringe a credere che, forse, un altro calcio è possibile. Qui e ora. Davvero.

sabato 24 novembre 2007

L'orgoglio delle donne

Un'italiana su tre è vittima di violenza. E la stragrande maggioranza degli abusi avvengono per mano di familiari e parenti. Le donne sono scese oggi in piazza a Roma in tantissime, nonostante una giornata capricciosa, per denunciare questo triste primato e per chiedere una legge che le tuteli di più. Putroppo però non basta. Come ogni fenomeno grave e complesso, il tema richiede un profondo lavoro di cesello sulla cultura e sulla mentalità. E richiede un grande scatto di fiducia nei confronti delle donne, la cui presenza nei gangli vitali del Paese è inversamente proporzionale alle loro capacità, al loro impegno, alla loro generosità. Molto spesso è sulle spalle delle donne il peso di situazioni difficili. E molto spesso sono le donne a dover pagare le scelte di un uomo. Con la manifestazione di oggi (organizzata da tantissime associazioni in occasione del giorno dedicato dall'Onu appunto alla violenza contro le donne), bella, colorata, vivace, piena di orgoglio e di dignità, abbiamo finalmente capito che le donne in questo Paese ci sono e vogliono un ruolo all'altezza delle loro aspettative. Le donne hanno fatto capire a noi maschietti che se non diamo spazio, saranno loro alla fine a prenderselo. Per provare a cambiarlo davvero questo mondo.

giovedì 22 novembre 2007

L'insostenibile inciviltà dell'essere (leghista)

Qualche giorno fa era assurto agli onori della cronaca per aver emesso un'ordinanza con la quale si impediva la residenza nella sua cittadina a chi non possedeva un'abitazione "decente", un lavoro (forse anche questo decente, non si sa) e un reddito minimo. Oggi il sindaco del decreto anti-migranti è comunque finito sui giornali. Ma per un altro motivo: la magistratura vuole vederci chiaro in questa faccenda. E per intanto gli ha inviato un avviso di garanzia per il reato di "usurpazione di funzione pubblica". Detto in soldoni, il primo cittadino di Cittadella, nel Veneto, un leghista degno epigono di Gentilini e Calderoli, non può sostituirsi alla polizia. Non ancora. Per lo meno fino a quando non vincerà il razzismo (velato o meno che sia) e non verrà abrogata la Costituzione. Purtroppo per il sindaco-sceriffo qui da noi ancora resiste una parvenza di senso della solidarietà e dell'accoglienza. Quanto alla Carta, beh, ci hanno provato, i lumbard, a farla a pezzi, ma i cittadini italiani non hanno ascoltato le sirene di chi sotto le spoglie del nuovo e del nuovismo nascondeva la stessa idiosincrasia di sempre per il viver civile e democratico.

martedì 20 novembre 2007

Il principe e i princìpi

I Savoia vogliono il risarcimento per i danni morali subiti per i 54 anni di esilio. E c'è di più: gli ex reali d'Italia, oltre a 260 milioni di euro (calcolati senza contare gli interessi) vogliono indietro anche i beni confiscati dallo Stato all'atto della nascita della Repubblica. No, non è una barzelletta. La richiesta, Vittorio Emanuele e famiglia, l'hanno inviata ufficialmente al premier Prodi e al presidente Napolitano. Ma il governo alla perentoria istanza avrebbe risposto altrettanto duramente che non solo le reali corone torinesi non avranno un soldo, ma dovranno essere loro a pagare in moneta sonante per le sciagurate scelte dell'allora Regno di Italia. Tre su tutte: l'appoggio ventennale al fascismo, le leggi razziali e la guerra a fianco di Hitler. Ma se anche la Storia non bastasse per deplorare una richiesta di questo tipo, ci sono poi gli atteggiamenti a dir poco penosi dell'ex principe una volta ritornato in Italia: le intercettazioni pubblicate sui maggiori quotidiani del Paese mostrano, al di là dei possibili risvolti penali, uno spaccato dello squallore e dell'ipocrisia di un certo mondo. Certo in questa Italia di frizzi e lazzi non ci si può stupire più di niente. Eppure questa storia (rigorosamente con la minuscola) è maledettamente simbolica. Perchè dimostra ancora una volta quanto i valori repubblicani sanciti dalla Costituzione siano diventati estranei alla società di oggi. Bisognerebbe chiedersi il perchè. Ma la risposta, da un pò di tempo a questa parte, soffia nel vento del cinismo politico e dell'indifferenza civile.

sabato 17 novembre 2007

I ricchi e poveri non cantano più

E' sempre più allarme clima. Un'ulteriore conferma arriva dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambio climatico, il cosiddetto Ipcc. Questo organismo internazionale sostiene che per il surriscaldamento sono a rischio estinzione circa un terzo delle specie animali e vegetali del pianeta. Intanto, in Bangladesh un ciclone ha provocato oltre 2000 vittime. Ed è solo l'ultima delle tragedie che capitano quando alla natura impazzita si mischia il disastroso comportamento dell'uomo. Sembra essere, il nostro, il tempo nel quale sta avvenendo la saldatura tra rottura dell'equilibrio geofisico e crisi di un sistema economico basato su uno sviluppo irrazionale e diseguale. Giornali e tv se ne occupano troppo poco, persi come sono nelle cronache dell'ultimo delitto di provincia. Eppure, la questione climatica sta diventando, anzi già lo è, la questione del secolo. Perchè è il nodo su cui si gioca il futuro di tutti. I partiti politici dovrebbero non soltanto essere più sensibili all'argomento, ma essere capaci di indicare soluzioni, scenari, prospettive. Ma gran parte della classe dirigente politica, soprattutto quella italiana, pensa che tutelare e valorizzare l'ambiente significhi piantare un seme in più nel proprio giardino. Perchè, in fondo, quando si tratta di affrontare il tema dei ricchi e poveri, a loro viene in mente qualche motivetto dei cantanti che facevano faville negli anni 80.

venerdì 16 novembre 2007

La medaglia di Ilaria e Miran

Il presidente Napolitano ha assegnato la medaglia d'oro al valor civile alla memoria a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Per le famiglie dei due giornalisti uccisi tredici anni fa a Mogadiscio, per gli amici e i colleghi è una buona notizia. Non sufficiente però. Perchè a distanza di tanto tempo ancora non è chiara la verità sulla loro morte. Iliaria e Miran avrebbero scoperto l'esistenza di traffici illeciti che coivolgevano anche altissime personalità istituzionali. E per questo avrebbero trovato la morte il 20 marzo del 1994. La magistratura italiana ha cercato di far luce sui fatti ma non è riuscita nemmeno a condannare gli esecutori materiali. Per non parlare dei mandanti. Oggi lo Stato italiano rende ai due giornalisti un pezzo di onore. Quello stesso onore perso non tanto e non solo nell'impotenza della magistratura, quanto nelle secche di una commissione d'inchiesta che non ha voluto scavare fino in fondo nelle trame occulte e nei segreti inconfessabili. La medaglia deve spingere coloro i quali in tutti questi anni - per primi la mamma e il papà di Ilaria -hanno combattuto per la verità e la giustizia ad andare avanti con più vigore. E deve spingere le istituzioni a intraprendere con decisione la via della trasparenza. Perchè la storia di Ilaria e Miran non resti mai più accatastata nel retrobottega dei tanti misteri italiani, perchè di loro non resti che una medaglia usurata dal tempo.

giovedì 15 novembre 2007

La vittoria della legge

L'Onu ha detto sì alla moratoria sulla pena di morte. E' una vittoria per l'Italia e per il suo governo, che ha portato avanti fin dall'inizio questa battaglia per nulla facile. Tanti gli ostacoli, troppe le resistenze e moltissimi gli interessi sul cammino di questa decisione. Si tratta però soltanto di un primo passo verso la completa abolizione dell'esecuzione capitale come forma estrema di sanzione. Verso la piena consapevolezza che una vera giustizia non ha bisogno della morte del reo, ma del suo recupero sulla via della socialità. Insomma, con il voto di oggi è stato compiuto finalmente un atto di civiltà in un tempo scandito dalla barbarie di guerre, terrorismo, violenze di Stato. Un gesto di razionalità capace di mettere al centro la politica e i suoi valori più profondi. Ma soprattutto un gesto capace di mettere in crisi la falsa certezza di una società che si vuole dominata dalla sfiducia nel prossimo. Una società che, al contrario, ha bisogno di recuperare il senso più alto della legge come fattore di garanzia per tutti.

mercoledì 14 novembre 2007

Valigie di speranza

I dati prodotti dallo Svimez parlano chiaro: negli ultimi dieci anni si è quadruplicato il numero di coloro che - in particolar modo i giovani - emigrano alla ricerca di lavoro, spostandosi soprattutto da Sud a Nord. Insomma, è sempre la stessa storia. Anzi, si tratta delle stesse storie di sempre. Storie che parlano di sogni chiusi in valigie di speranza. Con la differenza, rispetto al passato, che oggi i meridionali portano con sè qualità professionale e spessore culturale al passo con i tempi. E questo brucia ancora di più, perchè ciò dimostra come, malgrado possa contare su un capitale di competenze e di esperienze di tutto rispetto, il nostro Sud patisca ancora una condizione di arretratezza e di degrado. E resti, mutatis mutandis, il Meridione di cinquanta o cento anni fa. Uguale a se stesso: con i vicerè che gozzovigliano mentre l'ultimo treno, stracarico di vesti usate e valigie di cartone, lascia la città tra lacrime e promesse.

martedì 13 novembre 2007

Morti bianche, lavoro nero

Il sito articolo21.info riporta i dati Inail riguardo alle morti sul lavoro. Ebbene, gli stranieri che più ci lasciano la pelle - sui cantieri della nostra Italia - sono i rumeni. Quanto agli infortuni, i lavoratori rumeni si piazzano al terzo posto. Insomma, è questa la fotografia più cruda della realtà, al di là della speculazione politica su fatti di cronaca e del rigurgito di fascismo degli ultimi tempi. Una parte di fotografia, a dire la verità. L'altra, infatti, è riempita dai dati del ministero del Lavoro, secondo cui i precari nel nostro Paese sono circa tre milioni, il 12 per cento della forza lavoro. Una realtà che ci parla oggi, come ieri, di sfruttamento, di insicurezza (guarda un pò), di povertà. Che ci fa capire bene in che modo venga considerato oggi il lavoro. Ossia, meno di niente. Eppure una volta il lavoro era, per un uomo, lo strumento per emanciparsi, per crescere, per acquisire libertà. Una volta il lavoro aveva una dignità, univa le persone, le faceva sentire parte di un progetto più grande. Sulla questione del lavoro nascevano partiti, si conducevano battaglie politiche e sociali, si confrontavano le generazioni. Una volta, il lavoro voleva dire sperare di migliorare le proprie condizioni di vita personali e la società in cui si viveva. Lavorare significava sacrificarsi per costruire qualcosa di certo. E oggi? Tutto finito, scomparso, negato. E cosa resta di quella stagione lo si legge nell'impotenza di un padre che soffre le inquietudini del figlio.

lunedì 12 novembre 2007

Dramma a cielo aperto

Il 12 novembre fa venire in mente due date importanti. La tragedia di Nassiriya e la morte di Arafat. Due fatti che di per sè non sono legati. Che suscitano sentimenti diversi. Che appartengono a memorie differenti. Ma che ci rimandano allo stesso problema: il nodo mediorientale. Un "dramma a cielo aperto" che nessuno fino ad ora, nè la diplomazia nè la guerra nè il terrorismo, ha saputo risolvere. Eppure la questione del medioriente è centrale rispetto alla speranza o quanto meno alla possibilità di costruire un mondo più pacifico, giusto e libero. Perchè se il sangue, la terra e la cultura diventano, non elementi di prevaricazione e di odio, ma occasioni di crescita dell'identità individuale e collettiva, allora il passo decisivo verso la piena consapevolezza dell'essenza umana sarà compiuto. Per adesso, è la solita cieca litania di violenza e di morte. Come se la lezione della Storia non avesse insegnato abbastanza che uccidendo un uomo si uccide anche il proprio futuro.

domenica 11 novembre 2007

Agnelli sacrificali

Oggi non si può non parlare del tifoso ammazzato, dopo una rissa con altri ragazzi, da un colpo sparato da un poliziotto. Ancora un morto di calcio. La dinamica dei fatti allo stato non è ancora chiarita, ma che importa a questo punto? Mentre in tv partono le solite chiacchiere su responsabilità di questo o di quello, sugli stadi non a norma, sulla violenza che il calcio non può più accettare e via di questo passo, resta non solo la tragedia incomprensibile e assurda di una vita bruciata per una passione, ma le false facce stupite di chi non sa (o molto spesso fa finta di non capire) che aizzare a tutte le ore per tutto l'anno alla violenza, alla polemica pretestuosa, alla prevaricazione come stile di vita e anche al chiacchiericcio stupido, non porta che a questo esito. Cosa è diventato il calcio oggi ce lo spiegano ogni giorno, tra gli altri, i cosiddetti addetti ai lavori pagati per costruire in tv diverbi ad arte. Gli stessi pronti, con il loro sguaiato bla-bla, a fare la morale della domenica salvo poi passare all'incasso dell'ipocrisia il lunedì successivo. In questa storia non ci sono innocenti, solo agnelli sacrificali destinati ad essere dimenticati al prossimo spot pubblicitario.

sabato 10 novembre 2007

Libero Futuro per Palermo

Libero Futuro. Così si chiama la prima associazione antiracket di Palermo presentata oggi nel corso di una manifestazione al Teatro Biondo del capoluogo siciliano. L'associazione prende il nome di Libero Grassi, il commerciante ammazzato dalla mafia nel 1991 perchè si era opposto al ricatto del pizzo. L'evento è stato un vero successo: moltissimi imprenditori e commercianti hanno preso parte all'iniziativa insieme a centinaia di cittadini e giovani. Insomma, la cosiddetta società civile dà segni di risveglio. E' di qualche mese fa la decisione della Confindustra locale, rilanciata poi anche da Montezemolo, di inserire nel codice etico dell'organizzazione di categoria degli imprenditori le sanzioni - fino all'espulsione - per chi paga e non denuncia. E le forze dell'ordine e i magistrati dicono che, rispetto a qualche tempo fa, sono aumentati gli imprenditori e i commercianti che si rivolgono allo Stato e confidano nella legge. Certo si tratta di segnali ancora troppo flebili. La paura e l'omertà sono ancora diffuse. Però non si può non ammettere che la cattura del boss di Palermo Lo Piccolo abbia aperto una feritoia nella cappa mafiosa che opprime la città. Non è ancora la primavera di Palermo, quella della politica che risorgeva, dei lenzuoli appesi ai balconi e di un popolo che rialzava la testa. Non è ancora "il fresco profumo della libertà" per dirla con le parole struggenti di Paolo Borsellino. Eppure fatti come quelli di oggi dimostrano che la speranza è ancora viva e che "il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità" non è un destino e nemmeno una condanna da espiare.

venerdì 9 novembre 2007

L'alfabeto della democrazia

Bella l'idea di un parroco di Treviso di concedere alle preghiere dei musulmani i locali della chiesa per una volta la settimana. Si tratta di un gesto che può anche apparire eccentrico eppure ha una valenza da non sottovalutare. Soprattutto in un tempo in cui scarseggiano i ponti della pace e in cui non sempre si affermano le ragioni del dialogo. E soprattutto perchè questa idea viene partorita laddove è nato, cresciuto e prosperato il volto più crudo del leghismo. E' bello pensare che finalmente di Treviso non si parla per le truculente trovate dell'uomo forte della città, ovvero l'ex sindaco ora prosindaco Gentilini. E si riaccende la speranza ogni volta che qualcuno cerca di rompere la monotonia dei luoghi comuni. Ogni volta che qualcuno alla logica del pregiudizio risponde con l'alfabeto della democrazia.

giovedì 8 novembre 2007

Stazzema, giustizia e verità

La Cassazione ha confermato gli ergastoli per alcune SS che hanno compiuto l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema. La giustizia dei tribunali si aggiunge così al ripudio morale che la storia ha già adottato nei confronti del nazismo. Sono passati sessantatre lunghissimi anni. Anni di dolore per i familiari delle vittime ovviamente, ma anche per la coscienza civile del nostro Paese. Perchè la vicenda delle stragi nazi-fasciste è costellata di episodi inquietanti. Episodi che parlano di "armadi della vergogna" dove la verità per tanto tempo è stata sacrificata sull'altare di un malinteso realismo politico. Episodi che parlano di ipocriti o maldestri oppure solo incoscienti tentativi di utilizzare lo strumento del revisionismo storico per minimizzare responsabilità e per sporcare il quadro entro cui i fatti avvennero. Con la decisione di oggi anche l'alto tempio della giustizia statale ha certificato in maniera indelebile i nomi e i cognomi di coloro che annegarono nell'abisso dell'anti-umanità, consegnando così, in modo solenne, alla quotidianità del nostro vivere civile un elemento essenziale per coniugare la memoria con il futuro. In molti dicono, giustamente, che la sentenza arriva troppo tardi. Ma in un tempo, come quello che si sta vivendo, in cui riemergono dalle fogne della storia vecchie parole d'ordine e tristi bandiere, stabilire un punto fermo è necessario. Può essere fragile, simbolico quanto si vuole. Inutile, però, quello no, non può esserlo. Non lo sarà mai.

mercoledì 7 novembre 2007

La (lunga) marcia di Benazir

Benazir Bhutto ha deciso: guiderà una marcia di protesta da Lahore a Rawalpindi il prossimo 13 novembre se il presidente Pervez Musharraf non abbandonerà il comando delle forze armate. L'ex premier e attuale leader dell'opposizione democratica in Pakistan vuole così lanciare un messaggio al mondo sulla difficile situazione del suo Paese. Il Generale, numero uno del regime di Islamabad, ha dichiarato lo stato d'emergenza, ha abolito la Costituzione e fatto arrestare alcuni esponenti dell'opposizione. Centinaia di migliaia di pakistani sono già scesi nelle piazze per contrastare il rischio dell'instaurazione di una vera e propria dittatura militare. E intanto il Paese diventa sempre più terreno fertile per i gruppi terroristici islamici legati ad Al Quaeda. Nel giorno del suo ritorno dall'esilio qualche settimana fa, la Bhutto è rimasta illesa in un attentato degli integralisti che ha provocato la morte di circa cento persone. La marcia della leader democratica pakistana è, dunque, un grido gettato nello stagno della realpolitik occidentale. Un urlo capace di spezzare il tragico rosario di guerra e terrorismo che opprime da sempre il suo coraggioso popolo.

martedì 6 novembre 2007

Amico della libertà

Avevamo ancora bisogno di Enzo Biagi. Forse ora più che mai. Ci mancherà il suo sguardo disincantato sulle cose e i personaggi del mondo, il suo descrivere leggero (eppure profondo) fenomeni epocali e debolezze degli uomini, piccoli fatti della quotidianità e immortali gesta dei popoli. Sempre cogliendo lo spirito dei tempi. Ci mancherà Enzo Biagi. E ci mancheranno i suoi racconti della nostra Italia sempre sospesa tra cinismo e solidarietà, in bilico tra paura e coraggio. L'Italia dei mille paesi e l'Italia delle metropoli, l'Italia della speranza e quella della memoria: ecco il Paese che raccontava Enzo attraverso la Rai o i giornali. L'Italia capace di grandi gesti come al tempo della Resistenza e quella ipocrita e machiavellesca delle stragi e della violenza politica. E poi l'Italia del danaro facile e della disinvoltura morale che lascia il passo a quella della mediocrità al potere e del conformismo imperante. Ci mancherà Enzo Biagi, cronista amico della verità, partigiano fedele alla libertà.

venerdì 2 novembre 2007

L'eredità di Don Oreste

E' morto Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. Una vita, quella di Don Benzi, dedicata evangelicamente agli ultimi. Immigrati, prostitute, tossicodipendenti, malati di Aids, quante battaglie ha combattuto Don Oreste. Quante notti spese per strada a parlare con le ragazze strappate alle loro terre - l'Est europeo, la Nigeria - per convincerle a spezzare un destino fatto solo di sfruttamento e di schiavitù. A quante ragazze e a quanti ragazzi ha fatto capire che con la droga non c'è libertà nè dignità. Per quanti malati dei mali della nostra società ha avuto una parola di conforto e di speranza. Don Oreste parlava a noi e alle nostre coscienze distratte subito pronte a puntare il dito contro il prossimo, parlava di noi e della nostra superficialità, della nostra arroganza, della nostra supponenza. Don Oreste, come tante persone di buona volontà, valorizzava ciò che la nostra società scarta. Ci invitava a guardarci allo specchio prima di giudicare l'Altro, Don Oreste. E scoprire, così, che non siamo poi così diversi dall'Altro che vogliamo fuori dalla nostra colpevole vista. E' questa l'eredità semplice ma esplosiva dell'impegno di Don Oreste.

giovedì 1 novembre 2007

Il barbaro e l'ipocrisia

La tragedia della donna massacrata a Roma da un giovane rumeno martedì scorso resta in primo piano sui giornali e in tv. Lunghi servizi per descrivere chi è la vittima - ora in coma - o la personalità del carnefice - ora per fortuna in carcere grazie soprattutto alla testimonianza di una connazionale dell'uomo -, telecamere in faccia al primo che passa e microfono in bocca al vicino di casa. Intanto, la politica apre il dibattito sull'opportunità o meno che la Romania faccia parte dell'Unione Europea. Dicono che dopo la vicenda accaduta a Tor di Quinto non si può più stare a guardare, bisogna assolutamente agire. Il governo ha anticipato l'entrata in vigore di alcune misure in merito alle espulsioni varate appena il giorno prima, l'opposizione sostiene che non è sufficiente, ci vuole ben altro. Insomma, tutto secondo copione, all'insegna dell'allarmismo e della propaganda. Ma anche di una visione emergenziale e non razionale dei problemi. Nel caotico rincorrersi di grida concitate e di indignazioni ad orologeria nessuno che ci spieghi davvero perchè l'orrore e la violenza si sono impadronite delle nostre città, senza tirar fuori sempre la storia dello straniero barbaro. Perchè le città sono ormai diventate il campo di battaglia dove si scontrano le nostre paure, i nostri rancori, la nostra indifferenza. Perchè resistiamo ad ammettere che ciò che abbiamo costruito è l'esito delle nostre scelte. Scelte spesso rivelatesi cambiali di ipocrisia firmate per un tozzo di benessere.