martedì 13 novembre 2007

Morti bianche, lavoro nero

Il sito articolo21.info riporta i dati Inail riguardo alle morti sul lavoro. Ebbene, gli stranieri che più ci lasciano la pelle - sui cantieri della nostra Italia - sono i rumeni. Quanto agli infortuni, i lavoratori rumeni si piazzano al terzo posto. Insomma, è questa la fotografia più cruda della realtà, al di là della speculazione politica su fatti di cronaca e del rigurgito di fascismo degli ultimi tempi. Una parte di fotografia, a dire la verità. L'altra, infatti, è riempita dai dati del ministero del Lavoro, secondo cui i precari nel nostro Paese sono circa tre milioni, il 12 per cento della forza lavoro. Una realtà che ci parla oggi, come ieri, di sfruttamento, di insicurezza (guarda un pò), di povertà. Che ci fa capire bene in che modo venga considerato oggi il lavoro. Ossia, meno di niente. Eppure una volta il lavoro era, per un uomo, lo strumento per emanciparsi, per crescere, per acquisire libertà. Una volta il lavoro aveva una dignità, univa le persone, le faceva sentire parte di un progetto più grande. Sulla questione del lavoro nascevano partiti, si conducevano battaglie politiche e sociali, si confrontavano le generazioni. Una volta, il lavoro voleva dire sperare di migliorare le proprie condizioni di vita personali e la società in cui si viveva. Lavorare significava sacrificarsi per costruire qualcosa di certo. E oggi? Tutto finito, scomparso, negato. E cosa resta di quella stagione lo si legge nell'impotenza di un padre che soffre le inquietudini del figlio.

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