Benazir Bhutto è stata ammazzata. Un kamikaze ha messo fine alla battaglia da tempo intrapresa dall'ex premier pakistano contro il fondamentalismo islamico e contro il regime militare di Musharraf, per la rinascita democratica del Paese. E proprio a queste due forze bisogna fare riferimento per capire chi siano i mandanti dell'attentato. Il rientro della Bhutto nell'agone politico pakistano, infatti, ha rappresentato un elemento destabilizzante nella lotta per il potere che si combatte, soprattutto dopo l'11 settembre, a Karachi, a Islamabad e in tutto il Pakistan, fra i seguaci di Bin Laden e il governo del Generale. Lotta per il potere, legata ovviamente agli enormi interessi geopolitici dell'area. Insomma, la presenza della Bhutto scardinava un gioco perverso e paradossale sostenuto, per opposti motivi e interessi, dalle due forze che governano il Pakistan. Così, Benazir era pericolosa per gli integralisti, che non hanno mai dimenticato la sfida condotta dall'allora premier Bhutto contro di loro dagli anni 90 fino ai ieri. Ed era pericolosa pure per Musharraf (che con la Bhutto aveva recentemente siglato un patto più o meno formale attraverso il quale sostanzialmente i due si spartivano la guida politica dello Stato) , il quale non avrà più, almeno in questa fase, un concorrente vero e credibile nella gestione del potere. E' una situazione, quella venuta a crearsi con l'assassinio della Bhutto, nella quale, dunque, è richiesto agli Usa di abbandonare la strada dell'ambiguità politica nel sostegno al Generale e all'Europa di tentare un'iniziativa politica autonoma. Altrimenti, come in una spirale impazzita, alle bombe risponderà la dittatura. E alla dittatura replicheranno i kamikaze.
giovedì 27 dicembre 2007
domenica 16 dicembre 2007
Il coraggio di Don Abbondio
Evidentemente il colpo lo abbiamo accusato se ancora stiamo a parlare dell'articolo del New York Times, che dipinge l'Italia come un Paese triste e attanagliato dalla paura. Solo il presidente Napolitano ha commentato con i toni giusti le critiche, invitando gli americani a osservare con più oggettività la complessa realtà italiana. Insomma, secondo il presidente bisogna guardare certo alle ombre ma pure alle luci che si accendono nel cielo d'Italia. Il che è sicuramente vero. Però ci ha pensato la stragrande maggioranza della nostra classe politica - che, come era prevedibile, subito dopo l'uscita dell'articolo, si è messa in moto per minimizzare, smentire, svicolare - a confermarci ancora una volta che non possiamo che essere depressi politicamente. Eppure, vogliamo stare a ciò che, giustamente, sostiene Napolitano e preferiamo consolarci con le tante eccellenze di cui andare orgogliosi. Che ci dimostrano che le cose stanno diversamente da come pensano i tanti don Abbondio in Italia. Il coraggio nell'affrontare se stessi e il futuro, infatti, uno se lo può dare eccome. Anche se non ce l'ha.
martedì 11 dicembre 2007
La rabbia e l'orgoglio
Si è fermata una città per onorare le morti bianche. Torino, per un giorno, con le sue trentamila persone in corteo, è tornata ad essere la fiera e orgogliosa città operaia dei tempi che furono. Dicevano che l'antica capitale del Regno fosse cambiata in meglio, che si fosse risollevata dalla crisi della trasformazione post-industrale. Sostenevano che fosse in atto un nuovo Risorgimento. E, del resto, dalla ripresa della Fiat di Marchionne alle Olimpiadi invernali del 2006, gli esempi di una rinascita erano decisamente tangibili. Ora però ci accorgiamo, forse con un pò di stupore, che sotto i troppo facili entusiasmi covava una realtà ben diversa. E gli operai, che la nostra società dell'immagine si ostina a dichiarare scomparsi, tornano alla ribalta. Una ribalta fatta di lutti e dolori, di sfruttamento e morte. Di ferite che non vengono mai rimarginate. Qualcuno dirà che è il passato che ritorna. Che tutto, dalla centralità delle fabbriche nella vita del Paese alla questione operaia, è roba vecchia, trita e ritrita. Ma non è così. E per capirlo basterebbe scavare di più nella rabbia e nell'orgoglio di quei lavoratori che piangono la morte dei loro compagni.
domenica 9 dicembre 2007
La strage degli innocenti
Ormai è molto più di una tragedia che si ripete. Si tratta di una strage. Silenziosa e assurda, come assurdo è morire di lavoro nell'anno di grazia 2007. Gli ultimi casi eclatanti sono le morti bianche di 4 operai alle acciaierie ThyssenKrupp. Ma nella sconfinata provincia italiana e nelle stesse ore, altri lavoratori perdevano la vita sui propri luoghi di lavoro. Spesso, molto spesso, sui cantieri disseminati al sud come al nord. Il premier Prodi ha fatto dichiarazioni importantissime e chiare. E il governo ha deciso di intervenire con una nuova legge, che prevederebbe l'arresto dell'imprenditore che vìola in modo grave le norme sulla sicurezza. Insomma, finalmente ci si dà una mossa, per quanto tardiva. La riflessione che, però, si impone è la seguente: è molto difficile aumentare i controlli e le ispezioni sui luoghi di lavoro e nelle aziende? Evidentemente, sì. Il motivo, invece, sfugge al più semplice buon senso. Si tratta di incuria? Distrazione? O impotenza? Oppure, ancora, incapacità? E se invece la strage degli innocenti dipendesse dalla dinamica economica, che induce a situazioni al limite del rispetto della legge, del lavoro e del lavoratore?
domenica 2 dicembre 2007
Piante fragili su terreni aridi
Bene ha fatto il presidente del Consiglio Prodi a dire: "La politica spettacolo, accorcia tutto, rende tutto più misero". Al contrario, secondo il Professore "dobbiamo pensare a lungo termine, dobbiamo piantare piante, non erba". Era ora che dal pulpito di una delle cariche più importanti del nostro Paese si sentissero parole di buon senso, lo stesso auspicato dalla cosiddetta società civile disillusa da ideologie, partiti e governi. Che si stia finalmente imboccando la strada della sobrietà e della serietà, qualità che dovrebbero distinguere il lavoro istituzionale? Celentano qualche giorno fa ha per lo meno messo sul tavolo il dubbio. Qualcuno dirà: il "Molleggiato" si sa, è "il re degli ignoranti" per sua stessa definizione. E però, il tarlo del dubbio rimane: la politica smetterà, per dirla con il premier, di piantare erbaccia cattiva e davvero si dedicherà a far crescere belle e rigogliose le piante dello sviluppo e del progresso? Vorremmo essere ottimisti, ma la buona volontà del contadino non basta se il terreno su cui deve operare è inaridito, lasciato all'incuria della incapacità o solo della colpevole distrazione. E fra le due è difficile dire cosa sia peggio.
mercoledì 28 novembre 2007
Il fine della politica, la fine della guerra
Terminata la Conferenza internazionale di Annapolis per la pace in Medioriente, che ha visto la presenza importantissima di alcuni Paesi arabi fino a ieri considerati facenti parte dell'"asse del male" (come la Siria), il presidente Bush fa pressing sui leader palestinese e israeliano, rispettivamente Abu Mazen e Olmert, perchè si arrivi finalmente all'intesa che metta fine al conflitto. Obiettivo: arrivare alla creazione dello Stato palestinese nel 2008. Esattamente 60 anni dopo la nascita dello Stato d'Israele. E' un po' prerogativa dei presidenti americani, giunti alla fine del secondo mandato, cercare di porre fine alla "madre di tutte le guerre". L'ultima volta fu Clinton a mettere intorno a un tavolo Barak e Arafat e si sa come è andata a finire: con lo scoppio della seconda Intifada e i kamikaze da una parte, con gli omicidi "mirati" e le ruspe sulle case dei civili dall'altra. Ora, con Hamas che controlla la Striscia di Gaza, la situazione è altrettanto complessa. Questo significa che non dobbiamo illuderci. Anche perchè, diciamoci la verità, scarseggiano oggi gli uomini di buona volontà. Eppure bisogna continuare a crederci. John Lennon tanti anni fa invitava a dare alla pace una possibilità. Noi, più modestamente, saremmo già contenti se la politica, anzichè continuare a essere la guerra fatta con altri mezzi, diventasse davvero il mezzo per evitare qualsiasi guerra.
lunedì 26 novembre 2007
Essere uomini
E' morta, dopo una lunga malattia, la moglie dell'allenatore della Fiorentina, Cesare Prandelli. Il mister dei viola aveva abbandonato, tre anni fa, la Roma proprio per stare vicino alla sua amata Manuela, ricaduta nel male che l'aveva colpita nel 2000. Oggi è un giorno di lutto per il calcio. Il mondo del pallone, ma non solo, glielo deve. Non tanto perchè Cesare è una delle poche persone perbene che abitano quel mondo, quanto per il suo coraggio e la sua limpidezza morale. Dobbiamo ringraziarlo quest'uomo che ci ha dimostrato come sul campo e nella vita occorra avere sempre la forza di lottare e la capacità di continuare a credere e sperare, nonostante tutto. Ecco, l'esempio di mister Prandelli sta tutto nella consapevolezza di capire che le lusinghe del successo si fermano sull'uscio della dignità e del rispetto, innanzitutto per se stessi. E', questa, una qualità che non si mette sotto contratto, sia pure miliardario, perchè costituisce l'essenza stessa di quella cosa bella e dolorosa, difficile e appagante, che si chiama essere uomini.
domenica 25 novembre 2007
Un altro calcio è possibile
E' successo a Foggia, durante la partita fra la squadra locale e il Novara. La punizione assegnata dall'arbitro alla squadra piemontese non c'era. Proteste dei padroni di casa perchè il direttore di gara è caduto in errore. E allora che fanno i giocatori della squadra avversaria, evidentemente accortisi del pasticcio arbitrale? Sbagliano apposta la battuta. Questa cosa nella vita di tutti i giorni si chiama lealtà, nel mondo del pallone si chiama invece fair-play, ma il risultato non cambia. Ovviamente il Novara, che aveva una grande possibilità di portarsi in vantaggio, non fa goal (la partita, tra l'altro, finisce 0-0). Fa però qualcosa di più e di meglio di una rete. Strappa un applauso da parte del pubblico e dei giocatori foggiani. Ma soprattutto ci costringe a credere che, forse, un altro calcio è possibile. Qui e ora. Davvero.
sabato 24 novembre 2007
L'orgoglio delle donne
Un'italiana su tre è vittima di violenza. E la stragrande maggioranza degli abusi avvengono per mano di familiari e parenti. Le donne sono scese oggi in piazza a Roma in tantissime, nonostante una giornata capricciosa, per denunciare questo triste primato e per chiedere una legge che le tuteli di più. Putroppo però non basta. Come ogni fenomeno grave e complesso, il tema richiede un profondo lavoro di cesello sulla cultura e sulla mentalità. E richiede un grande scatto di fiducia nei confronti delle donne, la cui presenza nei gangli vitali del Paese è inversamente proporzionale alle loro capacità, al loro impegno, alla loro generosità. Molto spesso è sulle spalle delle donne il peso di situazioni difficili. E molto spesso sono le donne a dover pagare le scelte di un uomo. Con la manifestazione di oggi (organizzata da tantissime associazioni in occasione del giorno dedicato dall'Onu appunto alla violenza contro le donne), bella, colorata, vivace, piena di orgoglio e di dignità, abbiamo finalmente capito che le donne in questo Paese ci sono e vogliono un ruolo all'altezza delle loro aspettative. Le donne hanno fatto capire a noi maschietti che se non diamo spazio, saranno loro alla fine a prenderselo. Per provare a cambiarlo davvero questo mondo.
giovedì 22 novembre 2007
L'insostenibile inciviltà dell'essere (leghista)
Qualche giorno fa era assurto agli onori della cronaca per aver emesso un'ordinanza con la quale si impediva la residenza nella sua cittadina a chi non possedeva un'abitazione "decente", un lavoro (forse anche questo decente, non si sa) e un reddito minimo. Oggi il sindaco del decreto anti-migranti è comunque finito sui giornali. Ma per un altro motivo: la magistratura vuole vederci chiaro in questa faccenda. E per intanto gli ha inviato un avviso di garanzia per il reato di "usurpazione di funzione pubblica". Detto in soldoni, il primo cittadino di Cittadella, nel Veneto, un leghista degno epigono di Gentilini e Calderoli, non può sostituirsi alla polizia. Non ancora. Per lo meno fino a quando non vincerà il razzismo (velato o meno che sia) e non verrà abrogata la Costituzione. Purtroppo per il sindaco-sceriffo qui da noi ancora resiste una parvenza di senso della solidarietà e dell'accoglienza. Quanto alla Carta, beh, ci hanno provato, i lumbard, a farla a pezzi, ma i cittadini italiani non hanno ascoltato le sirene di chi sotto le spoglie del nuovo e del nuovismo nascondeva la stessa idiosincrasia di sempre per il viver civile e democratico.
martedì 20 novembre 2007
Il principe e i princìpi
I Savoia vogliono il risarcimento per i danni morali subiti per i 54 anni di esilio. E c'è di più: gli ex reali d'Italia, oltre a 260 milioni di euro (calcolati senza contare gli interessi) vogliono indietro anche i beni confiscati dallo Stato all'atto della nascita della Repubblica. No, non è una barzelletta. La richiesta, Vittorio Emanuele e famiglia, l'hanno inviata ufficialmente al premier Prodi e al presidente Napolitano. Ma il governo alla perentoria istanza avrebbe risposto altrettanto duramente che non solo le reali corone torinesi non avranno un soldo, ma dovranno essere loro a pagare in moneta sonante per le sciagurate scelte dell'allora Regno di Italia. Tre su tutte: l'appoggio ventennale al fascismo, le leggi razziali e la guerra a fianco di Hitler. Ma se anche la Storia non bastasse per deplorare una richiesta di questo tipo, ci sono poi gli atteggiamenti a dir poco penosi dell'ex principe una volta ritornato in Italia: le intercettazioni pubblicate sui maggiori quotidiani del Paese mostrano, al di là dei possibili risvolti penali, uno spaccato dello squallore e dell'ipocrisia di un certo mondo. Certo in questa Italia di frizzi e lazzi non ci si può stupire più di niente. Eppure questa storia (rigorosamente con la minuscola) è maledettamente simbolica. Perchè dimostra ancora una volta quanto i valori repubblicani sanciti dalla Costituzione siano diventati estranei alla società di oggi. Bisognerebbe chiedersi il perchè. Ma la risposta, da un pò di tempo a questa parte, soffia nel vento del cinismo politico e dell'indifferenza civile.
sabato 17 novembre 2007
I ricchi e poveri non cantano più
E' sempre più allarme clima. Un'ulteriore conferma arriva dal gruppo intergovernativo di esperti sul cambio climatico, il cosiddetto Ipcc. Questo organismo internazionale sostiene che per il surriscaldamento sono a rischio estinzione circa un terzo delle specie animali e vegetali del pianeta. Intanto, in Bangladesh un ciclone ha provocato oltre 2000 vittime. Ed è solo l'ultima delle tragedie che capitano quando alla natura impazzita si mischia il disastroso comportamento dell'uomo. Sembra essere, il nostro, il tempo nel quale sta avvenendo la saldatura tra rottura dell'equilibrio geofisico e crisi di un sistema economico basato su uno sviluppo irrazionale e diseguale. Giornali e tv se ne occupano troppo poco, persi come sono nelle cronache dell'ultimo delitto di provincia. Eppure, la questione climatica sta diventando, anzi già lo è, la questione del secolo. Perchè è il nodo su cui si gioca il futuro di tutti. I partiti politici dovrebbero non soltanto essere più sensibili all'argomento, ma essere capaci di indicare soluzioni, scenari, prospettive. Ma gran parte della classe dirigente politica, soprattutto quella italiana, pensa che tutelare e valorizzare l'ambiente significhi piantare un seme in più nel proprio giardino. Perchè, in fondo, quando si tratta di affrontare il tema dei ricchi e poveri, a loro viene in mente qualche motivetto dei cantanti che facevano faville negli anni 80.
venerdì 16 novembre 2007
La medaglia di Ilaria e Miran
Il presidente Napolitano ha assegnato la medaglia d'oro al valor civile alla memoria a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Per le famiglie dei due giornalisti uccisi tredici anni fa a Mogadiscio, per gli amici e i colleghi è una buona notizia. Non sufficiente però. Perchè a distanza di tanto tempo ancora non è chiara la verità sulla loro morte. Iliaria e Miran avrebbero scoperto l'esistenza di traffici illeciti che coivolgevano anche altissime personalità istituzionali. E per questo avrebbero trovato la morte il 20 marzo del 1994. La magistratura italiana ha cercato di far luce sui fatti ma non è riuscita nemmeno a condannare gli esecutori materiali. Per non parlare dei mandanti. Oggi lo Stato italiano rende ai due giornalisti un pezzo di onore. Quello stesso onore perso non tanto e non solo nell'impotenza della magistratura, quanto nelle secche di una commissione d'inchiesta che non ha voluto scavare fino in fondo nelle trame occulte e nei segreti inconfessabili. La medaglia deve spingere coloro i quali in tutti questi anni - per primi la mamma e il papà di Ilaria -hanno combattuto per la verità e la giustizia ad andare avanti con più vigore. E deve spingere le istituzioni a intraprendere con decisione la via della trasparenza. Perchè la storia di Ilaria e Miran non resti mai più accatastata nel retrobottega dei tanti misteri italiani, perchè di loro non resti che una medaglia usurata dal tempo.
giovedì 15 novembre 2007
La vittoria della legge
L'Onu ha detto sì alla moratoria sulla pena di morte. E' una vittoria per l'Italia e per il suo governo, che ha portato avanti fin dall'inizio questa battaglia per nulla facile. Tanti gli ostacoli, troppe le resistenze e moltissimi gli interessi sul cammino di questa decisione. Si tratta però soltanto di un primo passo verso la completa abolizione dell'esecuzione capitale come forma estrema di sanzione. Verso la piena consapevolezza che una vera giustizia non ha bisogno della morte del reo, ma del suo recupero sulla via della socialità. Insomma, con il voto di oggi è stato compiuto finalmente un atto di civiltà in un tempo scandito dalla barbarie di guerre, terrorismo, violenze di Stato. Un gesto di razionalità capace di mettere al centro la politica e i suoi valori più profondi. Ma soprattutto un gesto capace di mettere in crisi la falsa certezza di una società che si vuole dominata dalla sfiducia nel prossimo. Una società che, al contrario, ha bisogno di recuperare il senso più alto della legge come fattore di garanzia per tutti.
mercoledì 14 novembre 2007
Valigie di speranza
I dati prodotti dallo Svimez parlano chiaro: negli ultimi dieci anni si è quadruplicato il numero di coloro che - in particolar modo i giovani - emigrano alla ricerca di lavoro, spostandosi soprattutto da Sud a Nord. Insomma, è sempre la stessa storia. Anzi, si tratta delle stesse storie di sempre. Storie che parlano di sogni chiusi in valigie di speranza. Con la differenza, rispetto al passato, che oggi i meridionali portano con sè qualità professionale e spessore culturale al passo con i tempi. E questo brucia ancora di più, perchè ciò dimostra come, malgrado possa contare su un capitale di competenze e di esperienze di tutto rispetto, il nostro Sud patisca ancora una condizione di arretratezza e di degrado. E resti, mutatis mutandis, il Meridione di cinquanta o cento anni fa. Uguale a se stesso: con i vicerè che gozzovigliano mentre l'ultimo treno, stracarico di vesti usate e valigie di cartone, lascia la città tra lacrime e promesse.
martedì 13 novembre 2007
Morti bianche, lavoro nero
Il sito articolo21.info riporta i dati Inail riguardo alle morti sul lavoro. Ebbene, gli stranieri che più ci lasciano la pelle - sui cantieri della nostra Italia - sono i rumeni. Quanto agli infortuni, i lavoratori rumeni si piazzano al terzo posto. Insomma, è questa la fotografia più cruda della realtà, al di là della speculazione politica su fatti di cronaca e del rigurgito di fascismo degli ultimi tempi. Una parte di fotografia, a dire la verità. L'altra, infatti, è riempita dai dati del ministero del Lavoro, secondo cui i precari nel nostro Paese sono circa tre milioni, il 12 per cento della forza lavoro. Una realtà che ci parla oggi, come ieri, di sfruttamento, di insicurezza (guarda un pò), di povertà. Che ci fa capire bene in che modo venga considerato oggi il lavoro. Ossia, meno di niente. Eppure una volta il lavoro era, per un uomo, lo strumento per emanciparsi, per crescere, per acquisire libertà. Una volta il lavoro aveva una dignità, univa le persone, le faceva sentire parte di un progetto più grande. Sulla questione del lavoro nascevano partiti, si conducevano battaglie politiche e sociali, si confrontavano le generazioni. Una volta, il lavoro voleva dire sperare di migliorare le proprie condizioni di vita personali e la società in cui si viveva. Lavorare significava sacrificarsi per costruire qualcosa di certo. E oggi? Tutto finito, scomparso, negato. E cosa resta di quella stagione lo si legge nell'impotenza di un padre che soffre le inquietudini del figlio.
lunedì 12 novembre 2007
Dramma a cielo aperto
Il 12 novembre fa venire in mente due date importanti. La tragedia di Nassiriya e la morte di Arafat. Due fatti che di per sè non sono legati. Che suscitano sentimenti diversi. Che appartengono a memorie differenti. Ma che ci rimandano allo stesso problema: il nodo mediorientale. Un "dramma a cielo aperto" che nessuno fino ad ora, nè la diplomazia nè la guerra nè il terrorismo, ha saputo risolvere. Eppure la questione del medioriente è centrale rispetto alla speranza o quanto meno alla possibilità di costruire un mondo più pacifico, giusto e libero. Perchè se il sangue, la terra e la cultura diventano, non elementi di prevaricazione e di odio, ma occasioni di crescita dell'identità individuale e collettiva, allora il passo decisivo verso la piena consapevolezza dell'essenza umana sarà compiuto. Per adesso, è la solita cieca litania di violenza e di morte. Come se la lezione della Storia non avesse insegnato abbastanza che uccidendo un uomo si uccide anche il proprio futuro.
domenica 11 novembre 2007
Agnelli sacrificali
Oggi non si può non parlare del tifoso ammazzato, dopo una rissa con altri ragazzi, da un colpo sparato da un poliziotto. Ancora un morto di calcio. La dinamica dei fatti allo stato non è ancora chiarita, ma che importa a questo punto? Mentre in tv partono le solite chiacchiere su responsabilità di questo o di quello, sugli stadi non a norma, sulla violenza che il calcio non può più accettare e via di questo passo, resta non solo la tragedia incomprensibile e assurda di una vita bruciata per una passione, ma le false facce stupite di chi non sa (o molto spesso fa finta di non capire) che aizzare a tutte le ore per tutto l'anno alla violenza, alla polemica pretestuosa, alla prevaricazione come stile di vita e anche al chiacchiericcio stupido, non porta che a questo esito. Cosa è diventato il calcio oggi ce lo spiegano ogni giorno, tra gli altri, i cosiddetti addetti ai lavori pagati per costruire in tv diverbi ad arte. Gli stessi pronti, con il loro sguaiato bla-bla, a fare la morale della domenica salvo poi passare all'incasso dell'ipocrisia il lunedì successivo. In questa storia non ci sono innocenti, solo agnelli sacrificali destinati ad essere dimenticati al prossimo spot pubblicitario.
sabato 10 novembre 2007
Libero Futuro per Palermo
Libero Futuro. Così si chiama la prima associazione antiracket di Palermo presentata oggi nel corso di una manifestazione al Teatro Biondo del capoluogo siciliano. L'associazione prende il nome di Libero Grassi, il commerciante ammazzato dalla mafia nel 1991 perchè si era opposto al ricatto del pizzo. L'evento è stato un vero successo: moltissimi imprenditori e commercianti hanno preso parte all'iniziativa insieme a centinaia di cittadini e giovani. Insomma, la cosiddetta società civile dà segni di risveglio. E' di qualche mese fa la decisione della Confindustra locale, rilanciata poi anche da Montezemolo, di inserire nel codice etico dell'organizzazione di categoria degli imprenditori le sanzioni - fino all'espulsione - per chi paga e non denuncia. E le forze dell'ordine e i magistrati dicono che, rispetto a qualche tempo fa, sono aumentati gli imprenditori e i commercianti che si rivolgono allo Stato e confidano nella legge. Certo si tratta di segnali ancora troppo flebili. La paura e l'omertà sono ancora diffuse. Però non si può non ammettere che la cattura del boss di Palermo Lo Piccolo abbia aperto una feritoia nella cappa mafiosa che opprime la città. Non è ancora la primavera di Palermo, quella della politica che risorgeva, dei lenzuoli appesi ai balconi e di un popolo che rialzava la testa. Non è ancora "il fresco profumo della libertà" per dirla con le parole struggenti di Paolo Borsellino. Eppure fatti come quelli di oggi dimostrano che la speranza è ancora viva e che "il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità" non è un destino e nemmeno una condanna da espiare.
venerdì 9 novembre 2007
L'alfabeto della democrazia
Bella l'idea di un parroco di Treviso di concedere alle preghiere dei musulmani i locali della chiesa per una volta la settimana. Si tratta di un gesto che può anche apparire eccentrico eppure ha una valenza da non sottovalutare. Soprattutto in un tempo in cui scarseggiano i ponti della pace e in cui non sempre si affermano le ragioni del dialogo. E soprattutto perchè questa idea viene partorita laddove è nato, cresciuto e prosperato il volto più crudo del leghismo. E' bello pensare che finalmente di Treviso non si parla per le truculente trovate dell'uomo forte della città, ovvero l'ex sindaco ora prosindaco Gentilini. E si riaccende la speranza ogni volta che qualcuno cerca di rompere la monotonia dei luoghi comuni. Ogni volta che qualcuno alla logica del pregiudizio risponde con l'alfabeto della democrazia.
giovedì 8 novembre 2007
Stazzema, giustizia e verità
La Cassazione ha confermato gli ergastoli per alcune SS che hanno compiuto l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema. La giustizia dei tribunali si aggiunge così al ripudio morale che la storia ha già adottato nei confronti del nazismo. Sono passati sessantatre lunghissimi anni. Anni di dolore per i familiari delle vittime ovviamente, ma anche per la coscienza civile del nostro Paese. Perchè la vicenda delle stragi nazi-fasciste è costellata di episodi inquietanti. Episodi che parlano di "armadi della vergogna" dove la verità per tanto tempo è stata sacrificata sull'altare di un malinteso realismo politico. Episodi che parlano di ipocriti o maldestri oppure solo incoscienti tentativi di utilizzare lo strumento del revisionismo storico per minimizzare responsabilità e per sporcare il quadro entro cui i fatti avvennero. Con la decisione di oggi anche l'alto tempio della giustizia statale ha certificato in maniera indelebile i nomi e i cognomi di coloro che annegarono nell'abisso dell'anti-umanità, consegnando così, in modo solenne, alla quotidianità del nostro vivere civile un elemento essenziale per coniugare la memoria con il futuro. In molti dicono, giustamente, che la sentenza arriva troppo tardi. Ma in un tempo, come quello che si sta vivendo, in cui riemergono dalle fogne della storia vecchie parole d'ordine e tristi bandiere, stabilire un punto fermo è necessario. Può essere fragile, simbolico quanto si vuole. Inutile, però, quello no, non può esserlo. Non lo sarà mai.
mercoledì 7 novembre 2007
La (lunga) marcia di Benazir
Benazir Bhutto ha deciso: guiderà una marcia di protesta da Lahore a Rawalpindi il prossimo 13 novembre se il presidente Pervez Musharraf non abbandonerà il comando delle forze armate. L'ex premier e attuale leader dell'opposizione democratica in Pakistan vuole così lanciare un messaggio al mondo sulla difficile situazione del suo Paese. Il Generale, numero uno del regime di Islamabad, ha dichiarato lo stato d'emergenza, ha abolito la Costituzione e fatto arrestare alcuni esponenti dell'opposizione. Centinaia di migliaia di pakistani sono già scesi nelle piazze per contrastare il rischio dell'instaurazione di una vera e propria dittatura militare. E intanto il Paese diventa sempre più terreno fertile per i gruppi terroristici islamici legati ad Al Quaeda. Nel giorno del suo ritorno dall'esilio qualche settimana fa, la Bhutto è rimasta illesa in un attentato degli integralisti che ha provocato la morte di circa cento persone. La marcia della leader democratica pakistana è, dunque, un grido gettato nello stagno della realpolitik occidentale. Un urlo capace di spezzare il tragico rosario di guerra e terrorismo che opprime da sempre il suo coraggioso popolo.
martedì 6 novembre 2007
Amico della libertà
Avevamo ancora bisogno di Enzo Biagi. Forse ora più che mai. Ci mancherà il suo sguardo disincantato sulle cose e i personaggi del mondo, il suo descrivere leggero (eppure profondo) fenomeni epocali e debolezze degli uomini, piccoli fatti della quotidianità e immortali gesta dei popoli. Sempre cogliendo lo spirito dei tempi. Ci mancherà Enzo Biagi. E ci mancheranno i suoi racconti della nostra Italia sempre sospesa tra cinismo e solidarietà, in bilico tra paura e coraggio. L'Italia dei mille paesi e l'Italia delle metropoli, l'Italia della speranza e quella della memoria: ecco il Paese che raccontava Enzo attraverso la Rai o i giornali. L'Italia capace di grandi gesti come al tempo della Resistenza e quella ipocrita e machiavellesca delle stragi e della violenza politica. E poi l'Italia del danaro facile e della disinvoltura morale che lascia il passo a quella della mediocrità al potere e del conformismo imperante. Ci mancherà Enzo Biagi, cronista amico della verità, partigiano fedele alla libertà.
venerdì 2 novembre 2007
L'eredità di Don Oreste
E' morto Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. Una vita, quella di Don Benzi, dedicata evangelicamente agli ultimi. Immigrati, prostitute, tossicodipendenti, malati di Aids, quante battaglie ha combattuto Don Oreste. Quante notti spese per strada a parlare con le ragazze strappate alle loro terre - l'Est europeo, la Nigeria - per convincerle a spezzare un destino fatto solo di sfruttamento e di schiavitù. A quante ragazze e a quanti ragazzi ha fatto capire che con la droga non c'è libertà nè dignità. Per quanti malati dei mali della nostra società ha avuto una parola di conforto e di speranza. Don Oreste parlava a noi e alle nostre coscienze distratte subito pronte a puntare il dito contro il prossimo, parlava di noi e della nostra superficialità, della nostra arroganza, della nostra supponenza. Don Oreste, come tante persone di buona volontà, valorizzava ciò che la nostra società scarta. Ci invitava a guardarci allo specchio prima di giudicare l'Altro, Don Oreste. E scoprire, così, che non siamo poi così diversi dall'Altro che vogliamo fuori dalla nostra colpevole vista. E' questa l'eredità semplice ma esplosiva dell'impegno di Don Oreste.
giovedì 1 novembre 2007
Il barbaro e l'ipocrisia
La tragedia della donna massacrata a Roma da un giovane rumeno martedì scorso resta in primo piano sui giornali e in tv. Lunghi servizi per descrivere chi è la vittima - ora in coma - o la personalità del carnefice - ora per fortuna in carcere grazie soprattutto alla testimonianza di una connazionale dell'uomo -, telecamere in faccia al primo che passa e microfono in bocca al vicino di casa. Intanto, la politica apre il dibattito sull'opportunità o meno che la Romania faccia parte dell'Unione Europea. Dicono che dopo la vicenda accaduta a Tor di Quinto non si può più stare a guardare, bisogna assolutamente agire. Il governo ha anticipato l'entrata in vigore di alcune misure in merito alle espulsioni varate appena il giorno prima, l'opposizione sostiene che non è sufficiente, ci vuole ben altro. Insomma, tutto secondo copione, all'insegna dell'allarmismo e della propaganda. Ma anche di una visione emergenziale e non razionale dei problemi. Nel caotico rincorrersi di grida concitate e di indignazioni ad orologeria nessuno che ci spieghi davvero perchè l'orrore e la violenza si sono impadronite delle nostre città, senza tirar fuori sempre la storia dello straniero barbaro. Perchè le città sono ormai diventate il campo di battaglia dove si scontrano le nostre paure, i nostri rancori, la nostra indifferenza. Perchè resistiamo ad ammettere che ciò che abbiamo costruito è l'esito delle nostre scelte. Scelte spesso rivelatesi cambiali di ipocrisia firmate per un tozzo di benessere.
lunedì 29 ottobre 2007
Politica buona scaccia moneta cattiva
Il costo della vita aumenta? Non è colpa dell'euro. A pensarla così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che, dopo anni di polemiche, condotte nel nostro Paese soprattutto (anzi esclusivamente) dalla destra, ha finalmente sfatato il mito negativo della moneta unica come responsabile dell'impoverimento dei cittadini. Per il presidente ben altre sono le ragioni del rincaro dei prezzi che rende difficile la vita a milioni di famiglie italiane. Ragioni che attengono tutte alla precaria struttura economica del Belpaese. Infatti, nota con molto buon senso il capo dello Stato, in molti altri Paesi dell'Unione europea l'introduzione dell'euro non ha portato ad alcun rincaro. Insomma, l'Italia non può scaricare altrove responsabilità e compiti che le spettano direttamente. L'euro comunque resta uno strumento necessario nel mondo di oggi ma non sufficiente. Senza un'azione politica forte, efficace ed efficiente, verso l'integrazione anche la moneta unica può rivelarsi elemento che perpetua vecchie diseguaglianze e ne produce sempre nuove. E senza una volontà politica - legittimata democraticamente - capace di indirizzare i processi economici si corre il rischio di deprimere l'istintivo sentimento comunitario che da sempre abita il cuore e la cultura del popolo italiano.
domenica 28 ottobre 2007
I fantasmi del Mediterraneo
Fuggivano per non morire di fame, di stenti, di guerra, di ingiustizia. E invece la fame, gli stenti, la guerra e le ingiustizie li hanno inseguiti fino alle rive italiane. Vecchi barconi, carichi all'inverosimile, non ce l'hanno fatta a reggere il peso della loro voglia di riscatto. Troppo fragili per sostenere la forza del loro sogno. Così sono morte altre sedici persone, sedici cosiddetti clandestini, come siamo abituati a chiamarli, in due di quelli che vengono chiamati sbrigativamente viaggi della speranza. E' successo in Calabria e in Sicilia. Viene da pensare alle loro storie, alla loro capacità di immaginare nonostante tutto un futuro meno amaro, nel momento in cui non sappiamo ancora con esattezza quanti disperati avrà inghiottito il mare. Viene da pensare a chi ci specula su, a chi fa della povertà un commercio. Ma viene da pensare anche a chi, da noi, vorrebbe ributtarli in acqua o rispedirli immediatamente nei loro Paesi. Viene da pensare. Pensare. Perchè i fantasmi del Mediterraneo interpellano la nostra coscienza. Sono il buco nero della nostra anima. Il cono d'ombra di una civiltà che insiste a definirsi tale mentre tutto intorno trionfa la barbarie.
sabato 27 ottobre 2007
Imprenditor salva te stesso
"Da dodici anni il Paese non è governato". Parola di Luca di Montezemolo. Il presidente della Confindustria se la prende con la politica tutta perchè incapace di fare le "riforme" necessarie allo sviluppo. Per lui, sia la destra che la sinistra, paralizzate dai veti incrociati, hanno perso le loro occasioni di governo in interminabili dispute, senza arrivare a decisioni di fondo per il Paese. Insomma, dal leader degli industriali arriva un duro colpo di frusta alla classe politica del Paese. L'ennesimo, per la verità. Di questi tempi, in realtà, sparare a palle incatenate sulla politica è molto facile. Gran parte delle mancanze, dei difetti, delle debolezze, delle ingenuità ma anche delle furbizie e dell'approssimazione dei politici, tutte cose di cui parla Montezemolo sono le stesse di cui si lamentano molti cittadini. Ma ciò che il patron della Fiat e della Ferrari non dice è che il "cahiers de doleance" con molta facilità rinfacciato alla classe politica riguarda più di quanto egli non creda anche la classe imprenditoriale. La crisi che stiamo vivendo infatti chiama in causa l'intera classe dirigente del Paese. Quindi anche gli industriali che Luca Cordero rappresenta al massimo livello. Tutti, ovviamente a seconda del ruolo, condividono le stesse responsabilità. A meno che Montezemolo non voglia indicare nell'azienda un'inedita riserva di virtù da contrapporre alla cosiddetta politica politicante. Ma, ahimè, arriva tardi. Ci ha già provato l'uomo del "ghe pensi mi". E per ora basta e avanza.
venerdì 26 ottobre 2007
Negli occhi di un precario
Dopo il Papa, anche il Governatore della Banca d'Italia ha lanciato l'allarme sulla precarietà del lavoro. Se Benedetto XVI aveva parlato delle nuove forme di lavoro dominanti come contrarie al senso di dignità che un uomo non dovrebbe mai perdere (o calpestare, dipende dai punti di vista), Mario Draghi - da uomo di economia quale è - le ha elevate a fattore che impedisce lo sviluppo di un sistema di mercato dinamico. Certo, si tratta di motivazioni diverse che partono da punti di partenza differenti. Ma approdano alla medesima conclusione: lo status quo non va bene. E per capirlo basta guardarsi attorno e vedere la vita che fanno i nostri figli, i nostri amici, i nostri fratelli. Basta osservare i loro volti per carpirne le speranze, le delusioni e la voglia, dopo tutto, di resistere e andare avanti. Basta guardarli negli occhi, i giovani. Se la Chiesa definisce questo stato di cose immorale e il tempio dell'economia nazionale dice che è anche anti-economico, la politica non può più venir meno alle sue responsabilità. Deve tornare ad essere capace di sostenere lo sguardo delle ragazze e dei ragazzi di questo Paese.
giovedì 25 ottobre 2007
Giustizia in conto terzi
Non ci sarà alcuna sentenza per Mario Lozano. La Corte di Assise di Roma ha deciso infatti che il militare americano che ha sparato e ucciso Nicola Calipari nei pressi dell'aeroporto di Baghdad, in occasione della liberazione della giornalista Giuliana Sgrena, non potrà essere processato in Italia per "difetto di giurisdizione". Una cattiva notizia. Perchè, al di là dei vincoli legati al rispetto degli accordi internazionali, forse era necessario arrivare a stabilire un minimo di verità su un episodio tanto controverso. E, si sa, l'Italia di fatti "controversi" (come stragi, omicidi politici, tentati golpe) ne ha vissuti tanti, troppi. Apprendere che una cinica ragion di Stato, seppur declinata in modo diverso, ha avuto ancora una volta la meglio sul bisogno di giustizia è un segnale sconfortante per la nostra democrazia. Chissà, forse il milite Usa sarà giudicato altrove. Altri - speriamo - faranno giustizia per noi. Ma non sarà la nostra. Perchè la giustizia non si fa per conto terzi.
mercoledì 24 ottobre 2007
Il fiore (appassito) della libertà
Sono passati dodici anni da quando è iniziata la detenzione di Aung San Suu Kyi, la leader dell'opposizione politica in Birmania. Migliaia di persone in tutto il mondo hanno partecipato a sit-in per celebrarne l'anniversario. Bisogna continuare a fare pressione sul regime militare, sostengono i manifestanti, finchè l'eroina del popolo birmano non tornerà libera e in condizione di esprimere il suo dissenso. Tutti abbiamo ancora negli occhi le marce di protesta dei monaci buddisti. E tutti restiamo ancora oggi a bocca aperta di fronte alla crudele repressione nei confronti di chi - abituato alla preghiera e al silenzio - chiedeva solo libertà e democrazia. E lo faceva nel modo più semplice e dignitoso. Per giorni dentro a quei cortei lunghi e ordinati c'eravamo anche noi. Poi, come al solito, ci siamo voltati dall'altra parte.
martedì 23 ottobre 2007
Due pesi, la stessa misura
Duecentoventicinque anni di carcere per venticinque no-global. E' questa la richiesta formulata dai pm di Genova durante il processo per i fatti del G8. L'accusa: "Devastazione e saccheggio". Dunque, fatti due calcoli, sono in media circa nove anni di reclusione per ogni "sovversivo". Bene, perchè devastazione e saccheggio sono atti riprorevoli, giustamente sanzionati a dovere dal codice penale. E nove anni di galera sono infatti una pena severa. Tanto severa che assomiglia molto a quella data in occasione di una altro processo recentemente conclusosi, seppur in primo grado, ai danni di un potente esponente politico, braccio destro addirittura di un presidente del Consiglio. Un processo di cui hanno anche parlato (non molto, per la verità) giornali e tv. Allora però si trattava di favoreggiamento mafioso. Per essere più precisi, di concorso esterno in associazione mafiosa. Si trattava, cioè, di aiutare Cosa Nostra a mantenere e perpetuare il suo immenso potere. Nè più, nè meno. Ora, devastazione e saccheggio violano di certo il sacro principio della convivenza civile. Ma supportare l'anti-Stato nel dispiegamento dei suoi perversi disegni sulla società è qualcosa di molto più pericoloso. Perchè rappresenta la negazione stessa del patto sociale che ci fa stare insieme e in pace. Una democrazia che non coglie questa differenza è una democrazia distratta. O forse molto malata.
lunedì 22 ottobre 2007
Ora e sempre mafia
La notizia è di oggi. Gli affari della mafia ammonterebbero a 90 miliardi di euro. Questi i risultati di uno studio promosso dalla Confesercenti. Una cifra spaventosa, da far tremare i polsi, soprattutto se consideriamo lo stato del Paese. Un Paese, il nostro, sempre alle prese con nuove e vecchie difficoltà: la sperequazione economica fra Nord e Sud, il divario via via più crescente fra le classi sociali, la precarietà delle nuove generazioni e l'insicurezza dei meno giovani. Ebbene, in questo Paese dove si parla di crescita e si gestisce l'emergenza, dove si sogna lo sviluppo e - troppo spesso - si coltiva l'egoismo (sociale, economico, politico), l'unica azienda che prospera davvero è Cosa Nostra. Dicono: "Lo sapevamo". E' vero, ormai è diventato anche banale ripetere che la mafia ruba la vita e il futuro. Ma ricordarlo, innanzitutto a se stessi, continua ad essere un esercizio utile. Perchè si muore di mafia. Ma anche di assuefazione.
Prologo
Inizio a scrivere questo diario che è notte fonda. Con mio fratello Ermanno abbiamo appena finito di metter su il blog. Ma è troppo tardi per scrivere qualcosa. Questo è solo un saluto. Domani vi racconterò di più su di me, su ciò che mi succede, su come la penso. E innanzitutto sul perchè ho scelto di dare questo titolo al blog. Ma potete facilmente immaginarlo se avete visto di recente un bellissimo film che parla del viaggio di un giovane uomo attraverso un continente devastato da ingiustizia, povertà e dittatura eppure ricco di umanità e di speranza. Quel continente è il Sudamerica di mezzo secolo fa. Quel giovane uomo sarebbe poi passato alla Storia con un soprannome che sa di tango argentino e di sigaro cubano...
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